La vendetta coniugale? Un atto d’«Amore colpevole»

Quando qualcuno (e sarà un benefattore della storia della letteratura al quale il Premio Nobel andrà stretto) pubblicherà la colossale opera che potrebbe titolarsi Vite parallele dei romanzi, siamo certi che un corposo capitolo riguarderà La sonata a Kreutzer di Tolstoj (1891) e Amore colpevole di Sof’ja Tolstaja, sua moglie (1893). Nell’attesa, e dopo aver gustato il dolce fiele del grande Lev Nikolaevic, possiamo finalmente apprezzare l’amoroso assenzio distillato della sua consorte, edito da La Tartaruga insieme alla Breve autobiografia della stessa (pagg. 196, euro 16,50, traduzione di Nadia Cicognini).
Si dirà che il confronto è impari, avendo su un piatto della bilancia un fuoriclasse della scrittura e, sull’altro, la donna che per lui svolse il compito, oltre che di fattrice (gli diede 13 figli), di segretaria-editor. Ma chi lo dirà sarà fuori strada, perché i libri non si pesano come le patate. E i sentimenti non sono vincolati alla forza di gravità.
Se nella Sonata l’invettiva dell’uxoricida Pozdnyšev contro le femmine e la loro natura di cacciatrici, contro il matrimonio come festival dell’ipocrisia, contro i figli come frutto di un peccato quasi originale, contro, infine, la giustizia che sostituisce il diritto della legge a quello naturale, Amore colpevole è la risposta di chi, con un Pozdnyšev in carne, ossa e barba da eremita ebbe a che fare per 48 anni. E se nella Sonata udiamo il fragore assordante di una sola «campana», quella di un uomo conscio della propria colpevolezza che, costretto nell’angolo del reietto, vomita la propria arringa sul mondo intero, il contraltare firmato Sof’ja, l’altra «campana», presenta la ferma pacatezza di una sentenza emessa dopo l’escussione di tutti i testimoni.
L’Anna (nome scelto non certo a caso e che ci porta dritti dritti dalle parti della Karenina...) di Amore colpevole, infatti, alter ego pressoché ricalcato sulla figura reale della sua creatrice, concede abbondantemente facoltà di parola al principe Prozorskij del quale, fanciulla votata all’arte e ai sogni, ben presto s’innamora, conquistata dalla sua maturità e fierezza. Mentre lui, promosso dopo le nozze ad autentico re di una tenuta in tutto simile a Jasnaja Poljana, progressivamente perde l’allure del generoso patriarca circondato dai pargoli per macerarsi, esattamente come il Pozdnyšev della Sonata, in una gelosia che gli corrode l’anima.
La situazione precipita quando per casa incomincia a bazzicare pericolosamente un musicista suo amico, Bechmetev, «figlio» del Truchacevskij della Sonata che a sua volta è la materializzazione letteraria di un vicino dei Tolstoj che con Sof’ja intrattenne un’amicizia giudicata da Lev Nikolaevic decisamente troppo intima... (si vedano, su questo episodio, le pagine illuminanti della biografia Tolstoj di Henri Troyat). Così il fermacarte (un simbolo?) prende il posto del coltello come arma del delitto.

Così, dopo la moglie di Pozdnyšev, a soccombere è quella di Prozorskij.
Sof’ja no, lei non soccombette, all’ingombrante marito: morì nove anni dopo di lui, nel 1919. Ma soltanto nel ’36 vide la luce il suo quattordicesimo figlio, frutto di un Amore colpevole.

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