Stefano Zurlo
da Milano
Il caso è davvero un susseguirsi di paradossi. Un cittadino italiano implora larresto nel suo Paese; il ministro della giustizia Roberto Castelli prova a dargli una mano con un discreto pressing sulla Procura di Milano, ma il Pm dice di no. Risultato: Carlo Parlanti resta in carcere negli Usa e presto sarà processato per violenza sessuale in un contesto che i suoi legali definiscono «proibitivo».
Il retropensiero è scontato: quando si parla dei rapporti bilaterali Italia-Usa in materia di giustizia, scatta con una sorta di riflesso pavloviano il film del ritorno a Roma di Silvia Baraldini, trionfalmente accolta allaeroporto dallallora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto. E poi si torna con la memoria al Cermis e alla drammatica morte di Nicola Calipari, con lo strascico di polemiche sullinchiesta.
Questa volta, invece, la situazione si capovolge: Castelli vorrebbe riportare in Italia Parlanti e lì farlo giudicare dalla nostra magistratura, ma il pm di rito ambrosiano Brunella Sardoni non ne vuole sapere. Decisione più che legittima ma curiosa, se solo si pensa che negli anni di Mani pulite i pm milanesi hanno combattuto per strappare ad altre città processi da prima pagina. Quello di Parlanti si annuncia invece come un dibattimento difficile, problematico, dallesito incerto: luomo rischia addirittura lergastolo. Lui, toscano, classe 1964, è un tecnico informatico di successo. Lavora in aziende importanti, sale e scende dagli aerei, per un certo periodo vive negli Usa. Qui intraprende una relazione con Rebecca McKay White, una matura signora americana. Il rapporto non dura, lui la tradisce, poi se ne torna in Italia. È il 16 luglio 2002. Il 18 la donna va negli uffici della contea di Ventura, California, e denuncia Parlanti: lui lavrebbe sequestrata, picchiata e violentata. Per il momento la storia finisce lì.
Due anni dopo, 13 luglio 2004. Parlanti prende lennesimo aereo e atterra a Düsseldorf, in Germania. Incappa in un controllo: si scopre che è un ricercato internazionale, lo arrestano. Si proclama innocente: «Non ho mai picchiato, non ho mai sequestrato, non ho mai violentato. Lei era gelosa, si vuol vendicare». La sua parola contro quella di lei. Comincia intanto una complicata partita giudiziaria fra Usa e Italia, con la Germania nellingombrante ruolo dellarbitro. I familiari di Parlanti capiscono subito che sarebbe molto meglio un processo a Milano: costerebbe infinitamente meno, ci sarebbero più garanzie. Lavvocato Cesare Bulgheroni va allattacco: con una mossa forse temeraria chiede alla Procura di Milano di intervenire, appropriandosi del caso. Come? Lunico modo è chiedere al gip una misura cautelare, insomma larresto di Parlanti. Questo faciliterebbe il trasferimento in Italia dellimputato. La Sardoni però non si muove. Bulgheroni pone il problema al Procuratore capo Manlio Minale e Minale fa partire una rogatoria verso gli Usa: si chiede se la signora voglia denunciare lex fidanzato anche alle autorità italiane. Gli Usa non rispondono, passano i mesi, Parlanti è sempre in un carcere tedesco, in bilico fra Usa e Italia. Ad aprile di questanno la mamma del tecnico gioca la partita della disperazione: va a protestare a Roma, con un cartello, davanti al ministero della Giustizia. Castelli la vede, scende dalla macchina, sinforma; la signora viene ricevuta dal suo staff. Il Guardasigilli mette a punto una nuova strategia: fa leva sulla Procura perché proceda per sequestro di persona. Quel reato è un passepartout: lestradizione scatterebbe comunque, con o senza querela della presunta vittima. Il Pm, però, risponde picche unaltra volta: non ci sono le esigenze cautelari, anche se Parlanti è sempre in un carcere tedesco. Ancora per poco.
Nei giorni scorsi, le autorità tedesche, stufe di aspettare un segnale che non arriva, consegnano il prigioniero agli Usa. La situazione si fa sempre più difficile e quasi surreale: «In California - spiega Bulgheroni - il mio cliente rischia da 25 anni allergastolo». Ma il legale americano, Marilee Marshall, ha rifiutato lincarico: aveva già ricevuto un anticipo di 27mila dollari, ma ne pretendeva altri 80mila. Troppi. Un anno dopo, il caso sembra cristallizzato.
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