«Il primo incontro con Duccio Garrone per la vendita della Samp fu nel 2001 al golf di Rapallo. Gli dissi soltanto che un facoltoso principe arabo, petroliere, era interessato all'acquisto, insieme a lui, del pacchetto di maggioranza della società blucerchiata. La storia della cordata di imprenditori rappresentati da Andrea Stagni, procuratore di calcio conosciuto da tutti nel settore, venne dopo. Mio incarico, comunque, era quello di giudicare il valore dei giocatori, mica di avviare trattative. Figuriamoci. Mio interesse, invece, era quello di diventare direttore sportivo come mi avevano promesso. Tutto qui. Con la presunta tentata truffa non centro niente. Anzi, consigliai a Garrone di aspettare a firmare prima di aver controllato bene le garanzie».
Si difende così l'ex campione del mondo Beppe Dossena, vincitore dello scudetto con la Samp ai tempi di Mantovani, campione di Torino e Bologna, citato a giudizio dal sostituto procuratore Ranieri Miniati, su denuncia del petroliere genovese, per la presunta tentata truffa in concorso ai danni della Banca di San Giorgio e dello stesso Garrone. Ieri mattina l'ex calciatore si è presentato a testimoniare nel processo cominciato un paio di anni fa dopo che i giudici avevano sentito, nei mesi scorsi, il presidente della Samp.
«Non credo - ha detto Dossena - che Garrone sia uno sprovveduto e un ingenuo. In tutta questa vicenda il presidente era la mia garanzia, non io la sua. Ci mancherebbe. Mi dispiace molto per le sue offese contro di me lanciate nelle aule di Tribunale. Mi ha dipinto come una persona disonesta e un poco di buono. Invece sono una persona che lavora e ho agito sempre onestamente e correttamente con tutti, anche nei confronti suoi e della Sampdoria. Tanto che gli ho scritto e gli ho telefonato cercando di chiarire tra gentiluomini, ma lui non mi vuole nemmeno parlare. In aula ho fatto una ricostruzione di quanto accaduto e credo di avere dimostrato la mia totale estraneità alle accuse. Adesso aspetto che parlino i giudici».
Fino a ieri Dossena non aveva ancora fatto dichiarazioni. Anzi, una volta lo aveva fatto concedendo un'intervista a Primocanale, dove, con ironia finissima, aveva spiegato che i tifosi blucerchiati avrebbero dovuto fargli un monumento perché senza il suo intervento Garrone non sarebbe mai diventato presidente salvando la società dal fallimento. Una vicenda che aveva portato all'espulsione delle telecamere dell'emittente genovese dal campo di allenamento di Bogliasco. Scontro poi rientrato dopo le sfuriate del presidente.
«Sono amareggiato - ha continuato Dossena - per quanto è successo e soprattutto per questa veemenza nei miei confronti. Da qualche anno trovo difficoltà di collocamento nel mondo del lavoro del calcio. Il presunto artefice della presunta tentata truffa, l'imprenditore Antonino Pane, ex potenziale acquirente della Samp, non l'ho mai incontrato. Mentre il petroliere arabo cè davvero. Altro che fantomatico. Pure Garrone mi disse di conoscerlo e risulta pure dagli atti del processo. Ovviamente, tra colleghi ci si conosce. Se la sarebbero sbrigata loro insomma. Ripeto. Stagni e il principe sono persone differenti. A Mendrisio il commercialista Giuseppe Mantegazzi, rappresentante della società che avrebbe poi mostrato interesse a comprare la Samp, non mi disse nulla sui nomi degli imprenditori che facevano parte della cordata. Glielo chiesi una volta, ma per curiosità, non certo per interesse. Era di competenza comunque di Garrone e dei suoi consulenti, non mia, capire chi erano e se erano persone serie».
Sulla storia del principe arabo Dossena ha poi raccontato come lo avesse conosciuto durante la sua permanenza in Arabia saudita nel 2000 e 2001 dopo che aveva lavorato in Ghana dal 1998 al 2000 come allenatore della nazionale.
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