Venerdì di rabbia tra Hamas e Fatah

Viaggio a Ramallah, dove i sostenitori delle due fazioni palestinesi hanno protestato separati contro Israele per poi scontrarsi fra loro: 13 feriti. La polizia costretta a disperdere la folla con manganelli e lacrimogeni

Venerdì di rabbia tra Hamas e Fatah

dal nostro inviato a Ramallah (Cisgiordania)

Questi "venerdì della collera" palestinese (il mercoledì, piuttosto che il lunedì o il sabato ci si arrabbia un po' meno, si direbbe) cominciano a diventare un po' stucchevoli. In genere funzionano così. Alla fine della preghiera i simpatizzanti di Al Fatah e quelli di Hamas si dividono in due cortei, alzano cartelli di protesta contro la tragedia che si sta consumando a Gaza e, invece di partire per il fronte o bucare le gomme a una jeep israeliana, per dire, fanno a chi grida più forte per catturare l'attenzione dei portatori di telecamere e di taccuini.

Quelli di Al Fatah, stamani a Ramallah, sono più numerosi. Verso le 11.30, dopo aver fatto gruppone nella spianata della Mukhata, di fronte all'immenso mausoleo di Yasser Arafat (costato certamente quanto sarebbe costato un ospedale mica tanto piccolo) marciano verso piazza Manara. Un migliaio di ragazzotti, diciamo, che innalzano cartelli con la faccia del presidente dell'Autorità palestinese, Abu Mazen. Puntano su piazza Manara, cuore di Ramallah. All'intorno, un deserto animato solo dal palpitare di quella spazzatura leggera che incipria la Cisgiordania (fogli di giornale, pacchetti di sigarette, figurine, e poi sacchetti di plastica del super, bottiglie vuote, ciarpame vario, sempre in plastica...) trascinata dalle folate di vento gelido che arrivano da nord-ovest. Da una laterale di piazza Manara spuntano quattro, cinquecento supporter di Hamas. Volano parole grosse, partono le prime manganellate delle forze dell'ordine, vola per l'aria qualche candelotto lacrimogeno. Alla fine si contano i feriti: 13, imbarcati dalle ambulanze.

Per far paura ai contendenti rimasti a guardarsi in cagnesco, dal fondo della via avanza a passo di marcia (ciascuno con un suo proprio senso del ritmo, tuttavia) un plotoncino di militari che stringe il cuore solo a vederlo. Alti, bassi, grassi, magri, sgraziati, ineleganti, smandrappati, uniti solo dal bisogno di uno stipendio. Imbarazzanti e patetici come le comparse di un film degli anni Sessanta in cui avrebbero ben figurato un Paolo Panelli, l'Ugo Tognazzi del "Federale" e l'Alberto Sordi e il Vittorio Gassman de "La grande guerra".
Queste sono le cosiddette forze di sicurezza, questo lo spettacolo perdutamente meridionale, fatto di sciatteria, menefreghismo, luridume, che gli anni di Intifada e di disordine permanente hanno acuito, incistandolo per sempre su una società in cui ciascuno bada solo a se stesso, alla famiglia, al clan di appartenenza.

Per sentirsi popolo, nazione (avendo oltretutto a che fare con un "nemico" come quello israeliano cui mancheranno magari molte cose, ma non un sentimento di identità e di appartenenza) si potrebbe partire in questo "venerdì della collera" da una cosa semplice semplice, come decidere tutti insieme se è vero o non è vero che il mandato del presidente Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen, è scaduto proprio ieri, 9 gennaio. Ma anche su questo c'è baruffa. Stando ai sostenitori del presidente, egli ha diritto di restare in carica ancora per un anno, nonostante il termine di quattro di cui si parla nei documenti ufficiali che nel gennaio 2005 lo incardinarono alla presidenza. Il primo ministro dell'Ap Salaam Fayad ripete che secondo la legge le elezioni legislative e le presidenziali devono tenersi lo stesso giorno; e poiché le legislative sono in programma per il gennaio del 2010... Ma è evidente che Fayad ciurla nel manico, come gli ha risposto a muso duro Osama Hamdan, rappresentante di Hamas in Libano.

«Questo non è tempo di parlare di simili sciocchezze - dice Jihad Abu Zneid, parlamentare di Fatah -. Il presidente Abbas è stato eletto dalla maggioranza del popolo. E come tale egli rappresenta tutta la popolazione palestinese, non solo quella residente nei Territori Occupati.

Che poi si parli di questa bazzecola mentre è in corso l'offensiva israeliana a Gaza è una sventura per la nostra gente». Rissa continua, dunque. Ma anche questa, a dar retta alla vulcanica Jihad Abu Zneid, è colpa di Israele, «che ha sempre favorito le spaccature all'interno della nostra gente».

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