(...) che ciascuna delle due, a volte (magari meno volte) anche la nostra, si creda di gran lunga migliore dellaltra, con una forma di razzismo non etnico, ma etico.
Avevamo cercato, in ogni modo, di essere equilibrati, di denunciare le colpe. A partire dalle nostre, però. Perchè la colpa peggiore sarebbe stata quella di raccontare tutto ciò che non va negli altri, fingendo di essere perfetti. Eppure, al signore non bastava: «Sono basito da un incontro come quello di questa sera. Voi siete di parte, e la vostra non è la mia parte».
Eppure, se fosse servita unimmagine per raccontare nel miglior modo possibile il ciclo sulla «Rappresentazione dellodio» in scena in queste sere a Palazzo Tursi (nuovi appuntamenti giovedì, venerdì e sabato, con la lettura durante la Notte Bianca de La rabbia e lorgoglio di Oriana Fallaci), niente avrebbe potuto funzionare meglio della frase del signore cortesissimo.
Il tutto, fra laltro, inserito in un ciclo che è quasi un fermo immagine su come sia possibile fare cultura, cultura vera intendo, anche a Genova, persino a Genova. Lintervento di Marcello Veneziani, di cui avete potuto leggere lossatura nelle pagine della cultura del Giornale di ieri, aveva il grandissimo pregio di volare alto, altissimo. Ma con il linguaggio di noi tutti, senza tirarsela da intellettuale. Ma, molto semplicemente, essendo intellettuale. Comprensibile, chiaro, lineare, con la capacità di scatenare di continuo il dubbio. Quasi maieutico direi. Se non fosse che uno come Veneziani, nel suo intervento, la parola «maieutico» non la userebbe mai. Proprio perchè chi pensa bene, parla anche bene.
Soprattutto, dalla conversazione con Veneziani che ho avuto la fortuna di introdurre, emerge che il ciclo sullodio, in realtà, serve quasi ad esorcizzarlo. Che si può parlare damore senza andare fuori tema, anzi. E vabbè se lamore era stato largomento dei «Dialoghi sulla rappresentazione» dellaltranno.
E qui entra in scena laltro personaggio che fa pensare che unaltra cultura - o anche solo una cultura senza aggettivi - sia possibile anche a Genova. Che è Sergio Maifredi, anima di «Teatri Possibili Liguria» e che è riuscito a portare a casa per questo ciclo di incontri, fra gli altri, il contributo del Comune di Genova e della Regione Liguria, che non sono propriamente dame della san Vincenzo.
Mai contributi furono meglio spesi. Perchè Maifredi, con i suoi «Teatri Possibili Liguria» che dirige insieme a Corrado dElia, è la dimostrazione vivente di come si possa fare teatro, in tutte le sue declinazioni, anche quelle di un incontro con un intellettuale, senza avere alle spalle strutture elefantiache, centinaia di dipendenti, costi improbi da sostenere e richieste di soldi pubblici a getto continuo. Ad esempio, tanto per far nomi, «Teatri Possibili» e le sue iniziative non sono come il Carlo Felice. Ed è quasi un ossimoro, uno scherzo della sorte che proprio Maifredi sia uno dei consiglieri di amministrazione del teatro lirico di nomina ministeriale. Peraltro a titolo gratuito o giù di lì.
Il miracolo è che, al posto delle strutture ingessate e dei carrozzoni di tanti, troppi, enti culturali italiani, Sergio ci mette le idee. Mettiamo subito in chiaro i conflitti di interesse: Maifredi è un amico, ha scritto per anni sul Giornale di Genova e della Liguria e ha addirittura osato candidarsi alle ultime comunali nelle liste azzurre, sfidando lostracismo di una parte del suo mondo, quello dei teatranti.
Ma, anche al netto di tutto questo, Sergio riesce a mettere testa, cuore e pancia nelle sue attività. E sa usare i luoghi come nessun altro: lOdissea che ha vagato dagli scali a mare di Pieve Ligure alla villa di Albissola Marina, dalle ex acciaierie di Cornigliano a Tursi, è qualcosa che resterà.
Come a dire che la cultura non comincia e non finisce, ma continua sempre. Come a dire, semplicemente, che è cultura.
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