25 febbraio 1988. Caro Tomba, cosa ricorda di quel giorno di 20 anni fa?
«Cos'era, Sant'Alberto?»
Non cominciamo con le battute, siamo seri
«Ok, dài. Ma sì, è come fosse ieri, ricordo tutto di quel periodo e sono solo bei ricordi. Il volo per il Canada, l'atterraggio a Calgary mentre c'era la cerimonia di apertura dell'Olimpiade, manco vista, via subito verso Panorama, quartier generale per gli allenamenti, tre ore di macchina da Calgary».
Tino Pietrogiovanna, il suo allenatore, aveva organizzato tutto per tenerla lontano dal caos.
«Tino, già, tracciò lui la gara di superG, il mio primo impegno olimpico. Ero in grande forma, ero convinto di poter arrivare sul podio, alla vigilia eravamo indecisi sugli sci da usare, se quelli da gigante da 210 cm o quelli da superG da 215
Scelsi il gigante e feci un testa coda a 80 all'ora alla quinta o sesta porta».
Un brutto esordio!
«Cominciare bene mi avrebbe dato fiducia e invece
In tanti si scatenarono subito con le critiche, ecco, guarda questo, dopo aver vinto tutto in coppa del mondo ora se la fa addosso per l'Olimpiade
».
E invece?
«E invece rimasi concentrato nonostante tutto (le feste a Casa Italia, ndr) e in gigante con il numero 1 sul petto vinsi alla grande. Era il 25 febbraio 1988».
Che effetto fa pensare che sono passati 20 anni?
«Effetto Tomba! No, scusa, dài, in realtà a me sembrano dieci, al massimo! Ho ricordi precisi di tanti particolari. Faceva un freddo cane e prima della partenza avevo messo gli scarponi sotto una coperta. Poi avevo anche scavato un buco nella neve per tenerli più caldi, come fanno gli alpinisti
E fra le due manche avevo mangiato del panettone e mi ero sdraiato su un tavolaccio dentro una sala nel lodge in fondo alle piste».
E di tutto il delirio che c'era attorno a lei si ricorda?
«Eh sì, anche quello, già. Parlavo con tutti, davo retta a tutti, avevo le telecamere di Telemontecarlo che mi seguivano ovunque, anche sull'elicottero che mi riportò a Calgary per la premiazione
Lì davvero fu un delirio totale. Non so quante migliaia di persone in quella piazza urlavano il mio nome, Tomba, Tomba la Bomba, per tutti era facile pronunciarlo, piacevo per com'ero anche al di fuori dalle piste, la mia leggenda nacque lì».
Aveva 21 anni appena, che emozioni provò sul podio con l'oro al collo?
«Era tutto un gioco, già esserci era bello, vincere un sogno
ma anche una bella soddisfazione, perché non avevo vinto da outsider ma da favorito, e vincere l'Olimpiade da favorito non è facile. Nell'ultimo gigante di coppa prima di Calgary ero arrivato 9°, per qualcuno ero già in crisi
ma allora non me la prendevo ancora per quello che scrivevano o dicevano, ci scherzavo sopra!».
Alla vigilia di quella stagione trionfale lei aveva pronosticato i suoi due ori in gigante e slalom, eppure non aveva mai vinto nulla fino ad allora!
«Ah sì? No, questo non me lo ricordo, anche perché di solito a chi mi chiedeva pronostici preferivo non rispondere. Ricordo invece di aver detto che se avessi vinto un oro olimpico mi sarei ritirato, ma siccome ne vinsi due
».
Già, perché dopo il gigante arrivò lo slalom, il 27 febbraio.
«Numero 11, terzo tempo nella prima manche corsa con una pressione tremenda addosso, nella seconda rischio di più, sbaglio ma arrivo e sono primo, devo aspettare gli altri. Se la fanno un po' sotto, forse. Nilsson finisce indietro, Woerndl è secondo a 6/100. Ho vinto ancora, e scoppio in un pianto liberatorio».
E poi?
«E poi festa, tanto amore per me, champagne! E al mattino in aeroporto ero un po' fuso, ho dimenticato sul tapis roulant dei bagagli una valigetta piena di pins e di bandierine che avevo preso da portare a casa per ricordo, forse è ancora là che gira!».
E le medaglie?
«Quelle erano al collo, sicure! E mi feci fotografare con le mascherine che danno sugli aerei per coprire gli occhi e al posto degli occhi misi le due medaglie, mi ero fatto un impacco d'oro!».
Cosa fa ora?
«Sono rimasto legato al mondo della neve.
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