Cultura e Spettacoli

Vent'anni di «Rock 'n roll» in due atti

In libreria la commedia di Tom Stoppard che tratteggia uno spaccato di storia, costume, musica e ideali di una gioventù vissuta all'ombra della guerra fredda e della contestazione

Musica e contestazione. Amore e figli dei fiori. Guerra fredda oltre cortina. Cecoslovacchia, anni Settanta. Incroci magici tra comunismo dell'est europeo e liberalismo occidentale. Tra Cecoslovacchia, finita nel mirino dei carro-armati russi, e Gran Bretagna, culla del pop e del rock. Gioventù. Malattia. E il corso degli eventi, ovvero l'invecchiamento. Vent'anni della nostra storia, dagli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta. All'ombra del rock. Targato Pink Floyd. E Syd Barrett. Targato Velvet underground. E Kraftwerk. Plastic people of the universe. E naturalmente John Lennon. Un mito che continua a occhieggiare tra le righe. Dentro e fuori dall'animo dei personaggi. Dentro e fuori dalle ambientazioni suggestive di luoghi controversi.
«Rock 'n roll» (Einaudi, pp. 120, euro 11) - uscito finalmente in libreria a cinque anni dalla sua uscita e dalla prima rappresentazione teatrale in Inghilterra, da dove poi sbarcò a Broadway che la tenne in scena per tutto il 2007 e 2008 - è una commedia scritta da Tom Stoppard, celebre autore della sceneggiatura di «Shakespeare in love», «L'impero del sole» e «Rosencrantz e Guildestern sono morti». Concepito quasi come un film con inserzioni precise delle descrizioni ambientali e musicali che devono accompagnare le scene, è la minuziosa ricostruzione di... come eravamo. Quando la reazione non aveva bisogno di ideali comunisti per identificare nel rock il traguardo e la felicità. Ma anche quando la reazione all'oppressione trovava nella musica la sua valvola di sfogo.
Ma sarebbe riduttivo limitarsi a questo aspetto. Rock 'n roll è il sogno di una generazione cresciuta all'ombra della guerra fredda, quando per essere schedati dalla polizia segreta non occorreva essere pericolosi terroristi, ma era sufficiente essere soltanto giovani con gli occhi fissi verso il futuro. Talvolta psichedelico. Talvolta seduttivo. Talvolta deludente. Quando con il trascorrere degli anni ci si imbatte nelle vite stereotipate di copioni scontati. Dove si diventa vecchi. Dove ci si ammala di cancro. Dove si soffre. Dove ci si scontra con i figli prima e i nipoti poi. Dove si assiste a nuovi giovani, che sognano le stesse cose che tu hai già visto granitiche negli ideali, ma effimere nella realizzazione.
E una colonna sonora che non ha mai smesso di suonare perché «Golden hair», «Jugband blues», «Vera», ma soprattutto «Wish you were here» appartengono ormai a un patrimonio culturale condiviso. E voci che si accavallano sullo sfondo. Dylan, i Pink Floyd, Nico, Lennon. E via cantando. Ieri come oggi.

Anche mentre si legge le pagine di Stoppard.

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