Pristina - «Sono venuto da Roma per non perdermi il giorno storico dell’indipendenza, che aspettavamo da sempre», spiega Blevin Dribani in un buon italiano. Lo ha imparato spaccandosi la schiena come muratore nei cantieri edili della capitale. «Non trovo le parole per descrivere cosa provo nel mio cuore, ma per chi ha combattuto per il Kosovo è come rinascere un’altra volta », spiega Blevin. Neanche ventenne aveva imbracciato il kalashnikov contro i serbi. Nel 1999, dopo sei mesi di guerra, è stato colpito da una scheggia alla schiena.
A Pristina si è ritrovato con i vecchi compagni dell’Uck, il disciolto esercito di liberazione del Kosovo. Cantano e ballano attorno al monumento di un famoso guerrigliero morto in battaglia lungo il viale dedicato a Madre Teresa, nel centro della «capitale» kosovara. Il suo ex comandante, che vive con una pensione di guerra, indossa la mimetica dei tempi della guerra e porta orgoglioso il berretto nero con il simbolo dell’Uck.
Tutto attorno un fiume di gente festeggia il grande giorno dello strappo definitivo da Belgrado. Le bandiere albanesi con l’aquila bicipite nera, su sfondo rosso, sventolano da ogni balcone. In mezzo alla folla in delirio si mescolano a quelle americane. I tre bambini della famiglia Gashi, invece, hanno adottato delle bandierine italiane. «Un segno di gratitudine perché ci avete appoggiato e riconoscerete l’indipendenza», spiega papà Gani.
Alle 15.51 di ieri il parlamento di Pristina ha dichiarato l’indipendenza della provincia ribelle. Il Kosovo «da oggi in poi è orgoglioso, indipendente e libero», ha annunciato il premier Hashim Thaci. Quando comandavauna bella fetta dell’Uck lo chiamavano «il serpente », ma ieri indossava un serioso completo scuro e una cravatta vermiglia. Non a caso, sono i colori albanesi. Secondo Thaci il Kosovo «non tornerà mai più sotto il dominio di Belgrado», ma il nuovo Stato sarà «democratico e multietnico».
I festeggiamenti per l’indipendenza erano iniziati sabato sera e in giro per il Kosovo si è visto di tutto. A Prizren quasi duemila persone hanno srotolato una bandiera di tre chilometri. Sessantamila litri di birra sono stati serviti gratis e nella piazza principale è arrivata una torta di 1.500 chilogrammi con la forma del Kosovo. L’Express, un giornale di Pristina, ha messo in prima pagina i faccioni di Tito e Milosevic con il grande titolo “Fuck YU”. La scritta YU sta per la vecchia Yugoslavia, di cui il Kosovo faceva parte.
Betim e Vajbona Ahmeti sono sposati da poco. «Vogliamo avere dei bambini, mal’indipendenza di oggi ci da una gioia ancora più forte di un figlio», sostiene la coppia in mezzo a una marea di gente. Bedri Hyseni, invece, è un signore anziano e baffuto, che sogna la Grande Albania. Viene da Tetovo, in Macedonia, è avvolto da una bandiera albanese e una americana. «Spero di vedere, prima di morire, tutti gli albanesi in un solo Stato», ribadisce Hyseni. Nella grande festa di Pristina c’è anche Aziz Salihu, olimpionico kosovaro della boxe, amico del campione italiano Nino Benvenuti. «Siamo uno Stato indipendente e vogliamo andare ai giochi di Pechino», sbotta la mascella d’acciaio del Kosovo.
Se gli albanesi festeggiano i serbi piangono. L’enclave di Gracanica, ventimila anime, a un quarto d’ora di macchina da Pristina, è praticamente deserta. I carabinieri della missione Nato pattugliano la strada che costeggia le mura dello splendido monastero ortodosso. Al bar Patrix, con le tende rosse e blu, colori della bandiera serba, i musi sono lunghi. «È il momento più difficile della nostra storia. Viviamo nei ghetti, ma non riconosceremo mai l’indipendenza», spiega Sasha Sekulic, un piccolo imprenditore.
Secondo lui fra il 5 e il 10 per cento dei serbi di Gracanica se ne andranno via per sempre nei prossimi giorni.«Voi italiani ci avete deluso - sottolinea Sekulic -. Siete cristiani come noi ma riconoscerete l’indipendenza del Kosovo. Cosa fareste se la Sicilia volesse staccarsi dall’Italia?».
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