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Venti mesi vissuti sul filo del rasoio

Politica estera, welfare, caso Speciale, cda Rai, giustizia, emergenza rifiuti e per ultimo il caso Mastella: il cammino del secondo governo Prodi dal 17 maggio del 2006, da quando cioè l’esecutivo ha giurato nelle mani del presidente della Repubblica

Venti mesi vissuti sul filo del rasoio

Roma - Politica estera, welfare, caso Speciale, cda Rai, giustizia, emergenza rifiuti e per ultimo il caso Mastella. Da Kabul a Ceppaloni: ultima fermata fatale per il Professore. Il cammino del Prodi bis dal 17 maggio del 2006 - da quando l’esecutivo ha giurato nelle mani del presidente della Repubblica - si è rivelato in più di una occasione un percorso a ostacoli. Soprattutto, ma non solo, a causa di una convivenza irta di difficoltà con la sinistra radicale che ha vissuto uno dei momenti più critici con la manifestazione sul welfare del 20 ottobre dello scorso anno, accompagnata da roventi polemiche alll’interno della maggioranza.

Prima spina nel fianco Il 30 giugno 2006 scagliarsi contro l’esecutivo sono i liberi professionisti e soprattutto i tassisti per la prima "lenzuolata" di liberalizzazioni volute dal ministro per lo Sviluppo economico Pierluigi Bersani. Meno di un mese dopo, il 27 luglio, Montecitorio approva l’indulto e la maggioranza si spacca: l’Italia dei valori di Di Pietro vota contro, il Pdci di Diliberto si astiene. Dopo la pausa estiva il senatore dell’Idv Sergio De Gregorio lascia il partito dell'ex pm e si svincola dall’Unione, rendendo ancor più critica la situazione a palazzo Madama dove il centrosinistra può contare su un margine risicato di voti.

L'affaire Telecom Una settimana dopo palazzo Chigi smentisce un presunto coinvolgimento del governo nella pianificazione delle operazioni condotte dal gruppo Telecom. Il 18 settembre Angelo Rovati si dimette da consigliere della presidenza del Consiglio. A metà novembre nuove frizioni con la sinistra radicale: il premier Prodi critica la presenza del segretario del Pdci Oliviero Diliberto al corteo del giorno prima per la Palestina: "Basta giocare con la piazza". Più in là, però, il "gioco" con la piazza si farà ancora più duro. Un mese dopo, fischi e contestazioni per il presidente del Consiglio in visita al Motor Show di Bologna, la sua città. A fine gennaio 2007 nuova polemica, stavolta con l’Udeur di Clemente Mastella: la Camera approva la mozione dell’Unione sulle coppie di fatto (la questione, comunque, è parte integrante del programma di governo), ma il gruppo parlamentare del Campanile vota con la Cdl. L’esito del voto spiana la strada al ddl Bindi-Pollastrini, che sarà anch’esso al centro di contrasti.

Prima crisi di governo Il 21 febbraio, al Senato, la risoluzione della maggioranza sulle linee di politica estera del governo, con particolare riferimento alla presenza italiana nelle forze Nato operanti in Afghanistan, non raggiunge il quorum, anche per l’astensione di due senatori della sinistra radicale, Fernando Rossi del Pdci e Franco Turigliatto di Rifondazione. Il presidente del Consiglio è costretto a salire al Quirinale per rimettere il proprio mandato nelle mani del presidente della Repubblica. Si astengono due senatori della sinistra radicale, Fernando Rossi (Pdci) e Franco Turigliatto (Prc). Tre giorni dopo, una volta concluso il giro di consultazioni, il presidente della Repubblica respinge le dimissioni di Prodi e del suo governo, rinviandolo alle Camere, dove ottiene la fiducia e può proseguire il mandato.

Il caso Speciale A metà luglio, durante il voto sulla riforma della giustizia il governo esprime la propria contrarietà su un emendamento presentato dal senatore ulivista Roberto Manzione, ma l’emendamento passa e il governo è battuto. Intanto scoppia il caso Speciale: il generale della Guardia di Finanza al quale il vice ministro dell’Economia Vincenzo Visco aveva chiesto la sostituzione di 4 alti ufficiali, alcuni dei quali già impegnati nella vicenda Unipol. Speciale verrà destituito dal ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa e rifiuterà la nomina alla Corte dei Conti.

Camere investite dal ciclone intercettazioni: Il giudice Clementina Forleo trasmette al Parlamento le trascrizioni di 68 delle intercettazioni sulle scalate di Antonveneta, Bnl e Rcs. E chiede l’autorizzazione ad utilizzarle nel procedimento penale. Cita D’Alema, Fassino, Latorre (Ds), Comincioli, Cicu e Grillo (Fi): "Altro che tifosi - scrive il giudice - i politici erano complici". Ma il ministro della Giustizia Clemente Mastella replica: "Il comportamento della Forleo è singolare. Il magistrato ha potenzialmente leso i diritti e l’immagine di soggetti estranei al processo". Ancora frizioni tra governo e magistratura a settembre quando il ministro Guardasigilli chiede al Csm il trasferimento del sostituto procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris (che aveva iscritto nel registro degli indagati il premier Prodi per abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta "toghe lucane") per "anomalie" nella gestione del fascicolo dell’inchiesta.

Il caso Mastella Il ministro annuncia alla camera le sue dimissioni dopo l’ordinanza di arresti domiciliari per la moglie Sandra Lonardo firmata dal gip di Santa Maria Capua Vetere nell’ambito dell’inchiesta sulla sanità campana. Nella stessa giornata il ministro Guardasigilli viene indagato per concussione. Il presidente del Consiglio respinge le dimissioni di Mastella, che tuttavia il giorno successivo conferma la volontà di lasciare il governo. Prodi assume l’interim della Giustizia, mentre l’Udeur annuncia l’appoggio esterno all’esecutivo. Intanto si aggrava l’emergenza rifiuti in Campania. Viene nominato un nuovo commissario straordinario, l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, che prende il posto Alessandro Pansa, a sua volta successore di Guido Bertolaso. L’ex ministro Mastella dice di voler staccare definitivamente la spina, annunciando che non sarà al Senato per il voto sulla mozione di sfiducia presentata dall’opposizione nei confronti del ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio.

L'ultima fiducia Il premier Prodi chiede la fiducia alle Camere. Una fiducia "sostanziale", come spiega il ministro per i rapporti con il Parlamento Vannino Chiti: "Un voto sugli ordini del giorno. Politicamente equivale la fiducia ma non è formalmente la fiducia". Fiducia, appunto, sostanziale.

Che Palazzo Madama, però, non ha accordato.

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