Non esiste, non si possono accettare morti così. Ce ne stanno infliggendo sempre di più, a un ritmo esponenziale che mette i brividi, ma nemmeno la coscienza più sonnolenta può rassegnarsi a considerarla abitudine. Certo la tendenza che si respira nell’aria è subire questa ferocia spicciola più o meno come deprecabile effetto collaterale dei tempi d’oggi,così segnati da nuove problematiche, quali la promiscuità tra etnie, il disagio giovanile, l’affollamento demografico (siamo 60 milioni, media 200 abitanti per chilometro quadrato, 6 volte la media europea: ci diamo un limite o continuiamo a oltranza?). Ma sì, guardiamo l’America: in certi sobborghi di certe città i ragazzini ammazzano e si ammazzano per le questioni più stupide.Sull’onda di questo fatalismo sociologico, c’è chi pensa che semplicemente l’Italia paghi l’inevitabile prezzo di tutti i Paesi moderni, dove il benessere e la libertà concedono praterie invitanti alle pulsioni più bestiali. È singolare: questa edificante visione attribuisce a libertà e benessere gli stessi meccanismi che da sempre si riconoscono alla legge della giungla, come se il progresso umano non corresse in avanti, ma inconsapevolmente si piegasse a un percorso circolare, tornando malinconicamente al punto di partenza. Rifiutiamoci di crederlo. Non possiamo accettare sia così. Non può essere che nei tempi e nei luoghi di maggiore civiltà si finisca nuovamente per impaludarci nei crudi rapporti di forza e nelle gerarchie della violenza. È un fatto che tanta brava gente, ormai, abbia il terrore anche solo di passare sul marciapiede conquistato da certi ceffi tagliagola. È un fatto che le sagge madri sempre più spesso invitino figli e consorti a non reagire mai, nemmeno con semplici parole, alle prepotenze e alle provocazioni di certa gentaglia. È entrato nel nostro lessico quotidiano un nuovo modo di esprimerci: a testa bassa, scantonando, voltandoci dall’altra parte, comunque subendo in silenzio. Perché purtroppo ha preso piede una certezza atomica: al giorno d’oggi basta niente per morire. La statistica conferma: basta niente per essere presi a calci e a ginocchiate, basta niente per subire una coltellata. Si sta facendo strada l’idea che i conti vadano regolati personalmente e velocemente, se basta a mani nude, all’occorrenza con le armi. Orgoglio, prepotenza, vendetta: tutto ci gioca. E la violenza è accettata come germe annidato nell’organismo stesso della civiltà, senza anticorpi capaci di debellarlo. Qualcosa di sinistramente, diabolicamente fisiologico. Eppure non esiste, nemmeno in quest’atmosfera plumbea da perenne arancia meccanica, che un padre di famiglia venga giustiziato per strada.E c’entra poco che gli assassini siano romeni: le nostre baby o senior gang non hanno nulla da invidiare alla crudeltà di quelle importate. Non possiamo perderci in questi dettagli da talk-show, finendo per non comprendere più la sostanza. Che resta una: anche se l’abbiamo banalizzata e routinizzata con massicce dosi di narcosi virtuale, tramite video e videogioco, la morte resta la morte. Un evento grave ed eccezionale, umanamente insopportabile. E così dovrebbe sempre essere. Il suo peso e il suo valore non possono svalutarsi tanto miseramente, neppure alla borsa più sgangherata dei cervelli più collassati.
Non c’è «perdita di valori» - la diagnosi che più ci piace scomodare - che possa in qualche modo giustificare la follia dei nostri marciapiedi. Se cominciamo a considerarla in qualche modo normale, spiacevole però inevitabile, perdiamo tutto. Non è la legge della giungla che torna, è la legge del vuoto che avanza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.