Il vento africano agita il testosterone dei piazzaioli

Caro Granzotto, cosa gli è preso alla sinistra? Ogni giorno una manifestazione di piazza. Cosa hanno in testa, di sollevare il Paese e, con la benedizione di Napolitano, dichiarare lo stato di emergenza e formare un governo di salute pubblica guidato da Rosy Bindi?
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La sinistra è sempre stata attratta dalla piazza e l’ha sempre favorita, caro Ludovisi. Ce l’ha nel suo codice genetico. I giacobini prima, i marxisti poi e infine i «sinceri democratici» la ritengono, infatti, il mezzo più spiccio e più esaltante per imporre le proprie idee (e i Principî e i Valori e i Diritti. Tutto con la maiuscola, ben inteso, come ama fare, appunto, la sinistra). La qual cosa, tradotta in linguaggio semplice, significa impadronirsi del potere. C’è un po’ di romanticismo in questa visione delle cose, ma anche molta ragion pratica: per via elettorale e dunque democratica la sinistra - non gli Ulivi o le Sante alleanze, la sinistra - il potere non l’ha mai agguantato. Cosa le resta, allora? Le restano la rivoluzione, il golpe, i tribunali e la piazza. Saremo anche messi male, ma di rivoluzioni o di golpe (guidati da chi, poi? Da Franceschini? Da Vendola?) proprio non ce n’è aria. Coi tribunali, ovvero le procure, sembrò gli fosse andata bene ai tempi di Mani pulite. Il pool meneghino servì loro l’Italia su un piatto d’argento, ma il sogno svanì con la discesa in campo del Cavaliere. Resta la piazza, il vecchio amore, quello che non si scorda mai. Amore e complesso, pensiero fisso: riproporre una marcia su Roma, con le bandiere rosse - oggi un po’ stinte per la verità, ma il cuore batte sempre lì - al posto delle camicie nere. Tante volte ci hanno provato. Prima che diventasse un insulso concerto, cosa era il comizio del primo maggio a San Giovanni se non una periodica marcia (con l’ausilio di treni speciali e interminabili file di pullman messi a disposizione delle federazioni del Pci e dalle centrali sindacali) su Roma?
Non so se ha l’età e dunque possa ricordare, caro Ludovisi, l’enfasi dell’Unità nel sottolineare che i partecipanti giungevano, a centinaia di migliaia, a milioni, da tutta Italia diventando «folla oceanica», aggettivo mutuato, pari pari, dalla retorica fascista. Anche i pittoreschi girotondi, le Onde e le Pantere, i popoli Viola, le marce e gli assembramenti dei «realisti e responsabili», del «ceto medio riflessivo», i «Vaffa day», i «Democrazia day» i «Se non ora, quando?» con il tredicenne ad arringare le folle, sono piazze. Non più oceaniche, questo è vero, ma tutto fa brodo, anche le piazzette, anche i quattro amici al bar di Bersani. Adesso, poi, le loro pulsioni hanno raggiunto l’acme. La Tunisia prima, l’Egitto poi, la Libia in corso d’opera, pompano a mille il loro testosterone piazzaiolo, rinnovandogli la fiducia nel potere deflagrante del «popolo», delle «masse» («le masse» è uno dei più saldi refrain della dialettica marxista) capaci di rovesciare i regimi.

Hai visto mai, si dicono, che se riusciamo a infiammare con l’antiberlusconismo le piazze lo buttiamo giù, il Berlusca? E magari Carlà, in veste di democratica contessa di Castiglione bis, ci dà una mano convincendo con le sue moine Sarkozy a inviare un paio di Mirage per coventrizzare Arcore (e visto che c’è anche l’Olgettina)?
Paolo Granzotto

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