VERA ALLEANZA NON SUDDITANZA

Un’apertura di credito. Non si può forse definire meglio il senso delle dichiarazioni pubbliche di George Bush nei confronti di Silvio Berlusconi, del governo, dell’Italia in genere. Con un accento molto importante: la stabilità. Secondo il presidente degli Stati Uniti uno dei grandi meriti del primo ministro italiano è di dare, trasmettere, irraggiare questo senso di stabilità, anche al leader di quello che fino a qualche anno fa si chiamava l’Occidente. Ed è quello di Bush un giudizio politico, che va al di là dell’evidente simpatia personale. Quando l’uomo della Casa Bianca parla di Berlusconi come qualcuno che «ogni volta che lo ricevo alla Casa Bianca mi tira su il morale perché è una persona positiva» egli intende anche l’Italia. Cosa puntualizzata, del resto, nel modo più esplicito nell’accenno di Bush ai «governi che durano solo un anno e con cui tutto è più difficile». Un governo italiano che è durato cinque anni è un rarità non solo nella nostra tradizione politica. E il suo a Berlusconi non è soltanto un «abbraccio personale». I due statisti si sono parlati, per quasi due ore, di politica. Hanno affrontato i problemi del mondo. Non hanno raggiunto l’unanimità su tutti i punti: non sarebbe stato un dialogo né uno scambio di consigli e non sarebbe stato nell’interesse né dell’Italia né degli Stati Uniti. Le differenze (fra le quali la più espressa riguarda i tempi del ritiro delle truppe dall’Irak) sottolineano anzi la comunanza degli obiettivi. Berlusconi lo ha sottolineato, ha ripetuto che il nostro Paese ha fornito agli Stati Uniti un appoggio fattivo e serio, che siamo stati un «alleato solido».
Ha fatto bene, ma forse non sarebbe stato necessario, nell’atmosfera che si era creata ieri mattina alla Casa Bianca e che, ad onta di certe apparenze fornite inevitabilmente dalla data dell’incontro, non era suggerita dalle scadenze elettorali. Che all’America faccia piacere l’ipotesi di un altro quinquennio di collaborazione con un governo con cui ci si intende così chiaramente è intuibile; ma correttamente Bush non vi ha fatto riferimenti specifici. Certamente altri temi sono venuti in discussione: ad esempio la Palestina, anche se a quanto pare il governo Usa ha ammorbidito di qualche misura il proprio giudizio inizialmente negativo sulla strategia di Putin nei confronti di Hamas, cui invece l’Italia ha mostrato fin dal primo momento comprensione. Certamente Berlusconi e Bush hanno discusso anche delle tensioni con l’Iran, sempre in attesa che qualcosa nasca dalle trattative tra Teheran e Mosca, attualmente l’unica alternativa a uno scontro in qualche modo frontale. E tanto meno è escluso che ci siano stati accenni alla recente ondata di intolleranze e di violenze nell’area islamica, anche se i fondamentalisti sembrano aver spostato il focolaio delle proprie aggressioni, o per lo meno averlo esteso ai musulmani di diversa collocazione religiosa.
Di questi problemi, in una prospettiva più storica, Berlusconi potrà parlare anche nel discorso odierno di fronte ai rami riuniti del Congresso.

L’essere stato invitato a farlo è evidentemente un grande onore, questo sì, personale se si pensa che questo presidente del Consiglio è il quarto capo di governo italiano a ricevere questo invito e uno dei 98 statisti mondiali in quasi due secoli, in un elenco che si aprì con Lafayette. È dunque probabile e giusto che l’oratore cerchi di ancorare più saldamente, in questa occasione, le sue parole nella Storia. Per collegare il presente con il passato.

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