Walter Siti, quante forme di contagio esistono?
«Credo due: una molto visibile che ha i suoi modelli nella medicina ma può diventare sociologica: somiglia alle pandemie ma è manipolata dai poteri che hanno interesse a che si diffondano certe paure».
Laltra è quella di cui lei parla nel suo romanzo Il contagio (Mondadori, 2008)?
«La forma di contagio di cui parlo nel libro prende in contropiede anche il potere: è una omologazione, un male sotterraneo progressivo che nemmeno gli analisti colgono mentre avviene. I suoi effetti sono percepibili solo quando cose un tempo lontane iniziano ad avere caratteristiche simili. Sotto al clamore colto dal linguaggio giornalistico scavano altre forze, a lunga gittata. È uno dei fenomeni che mi impressionano di più nella realtà contemporanea».
Ne vede un esempio nei fatti di questi giorni?
«La rivolta di Londra: a parlarne superficialmente la si assimila ai disordini delle banlieues parigine, agli indignados spagnoli, alle rivoluzioni arabe. E invece è il contagio di decenni di consumismo: si è insinuato lentamente e in modo invisibile nelle forme di ribellione giovanile e le ha trasformate dallinterno: quello che hanno fatto i ragazzi a Londra è stato impadronirsi con la violenza di oggetti di lusso che altrimenti non avrebbero potuto comprare».
È possibile sviluppare degli anticorpi?
«Per la prima forma di contagio, un minimo di educazione civile: la cultura. Per il secondo tipo, non ce ne sono: è un male inevitabile, ma non apocalittico, il segno che non siamo padroni del mutamento.
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