La vera piccolezza? Bollare le persone in base ai difetti fisici

Buongiorno, vorrei presentarmi. Sono un giornalista sotto il metro e settanta: per Massimo D’Alema, che mi sovrasta di almeno sei centimetri, sono un pennivendolo mignon. Se ha appena definito Brunetta energumeno tascabile, così definirebbe me. Anch’io appartengo al disgraziato mondo dei piccoli. Quelli che nelle foto di classe stanno sempre in prima fila, quelli che secondo gli amici non vengono mai baciati dalle ragazze perché sanno di tappo.

Pensavo che il sarcasmo sull’altezza - sulla bassezza - fosse prerogativa da goliardia scolastica, o al massimo da quinto alpini. Mi accorgo che sbagliavo. Con la sua sottile e osannata arguzia, D’Alema lo sdogana e lo ripropone con decisione nel mondo della politica. Non c’è problema, siamo abituati. Non credo che Brunetta se ne farà un complesso. A una certa età, non è più l’età dei complessi. Certo potremmo subito invitare D’Alema a leggersi o a rileggersi Tolstoj, là dove scrive queste parole: nessuna mano è tanto piccola da non poter lasciare un’impronta sul mondo. Bella, no? Però non mi sembra il caso di farla tanto seria. Più che altro, mi limiterei a chiedere un semplicissimo criterio di pari opportunità e di pari dignità. Perché fermarci sempre e soltanto ai centimetri? I chili, per cominciare. Anche il peso deve essere una colpa da pubblico ludibrio. Con la sua simpatica gogna, D’Alema non mancherà ad esempio di trovare una definizione adeguata anche per Goffredo Bettini, assistente e braccio destro, qualcuno dice badante, di Veltroni. Vogliamo fare Cicciobomba Cameriere? Di Ferrara s’è già detto tutto, scomodando l’intero arco costituzionale dello zoo, passando dall’ippopotamo al tricheco. Lui, giocando d’anticipo, s’è peraltro patentato come elefante. Con D’Alema in giro, ha giocato d’anticipo.

Certo la deriva dei limiti fisici porta molto in là. La vecchiaia: vogliamo una buona volta farla diventare colpa grave? Senza dimenticare i trascorsi comunisti, il presidente Napolitano sarà lieto di finire sui giornali come Sinistro Babbione. E la Montalcini? Anche lei, simpaticamente compiacuta di sentirsi chiamare Nobel Imbalsamato. Persino nel mondo dello spettacolo, quante allegre immagini. L’eterna Carrà: bomba sexy degli anni Settanta, dopo le inevitabili aggressioni del tempo diventa la nostra amatissima Tuca-Tuca Minga.

Ma certo, sono battute. D’Alema non voleva fare sul serio. La prima cosa che dicono, questi sensibilissimi esteti, è sempre questa: non volevano offendere. Dev’essere così, perché dubitare. Sinceramente però eviterei, adesso come adesso, di chiedere a D’Alema qualcosa su Bocelli. Vai a sapere cosa gli passa per il cervello, a livello metafora. E i pelati: anche loro, altra stirpe minorata. Il pelato ha cercato di riciclarsi in personaggio di moda, di girare la lacuna in look molto trendy. Ma c’è modo e modo: «quel pelato di», detto nei tempi e negli ambienti giusti, resta pur sempre un’allegoria non proprio celebrativa. Con Bisio a «Zelig» ci giocano. Con Pantani, a suo tempo, in gruppo ci giocavano. Con Bondi, in casa D’Alema, non giocano granché.

Resta poi l’arbitrio assoluto sugli eterni temi della bellezza e della bruttezza. Se ci si addentra in questa prateria, si aprono spazi sconfinati. Per l’adone D’Alema, occasioni imperdibili gli occhi di La Russa e di Gad Lerner. Il naso di Fassino e di Gad Lerner. E Livia Turco? Come vogliamo definirla, «Oggi al Parla-mento»? Per non dire dei difetti di pronuncia: la erre di Tremonti e la esse di Jovanotti, come lasciarci sfuggire queste impareggiabili occasioni di bullismo altolocato? La verità è che bollare l’umanità partendo dai suoi limiti e dai suoi difetti resta a pieno titolo una bassezza. Più bassa di me, del premier, di Brunetta e pure di Giordano: non il nostro direttore, che è una pertica, ma il leader della sinistra estrema.

Se D’Alema pensa d’essere ironico e tagliente, può risparmiarsi la fatica: solitamente, non c’è nessuno più autoironico e più autotagliente di chi convive sereno con il proprio essere, per quanto tascabile o menomato. Ricordo quell’immenso jazzista che era Michel Petrucciani. Ricordo l’altissima esibizione davanti a Wojtyla.

Era un musicista molto più tascabile di Brunetta: praticamente, un tronco umano con due gambe e due braccia impercettibili. Però davvero suonava la musica di Dio. Con il suo soave gusto per la metafora, D’Alema lo definirebbe amabilmente uno scherzo della natura.

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