da Roma
Il primo applauso se lo becca Daniele Luchetti, in veste di conduttore (e un po' anche di pm): «Cari politici di centrosinistra ci siamo uniti per essere insieme la vostra forza e il vostro incubo, perché dal campo del possibile si passi al campo del giusto». Il secondo Bernardo Bertolucci: «Da qualche anno sono i film a guardare me e non il contrario. Provo grande disagio. L'anno scorso non ho mai sentito dai politici che pur mi preparavo a votare la parola cultura, neanche per sbaglio». Il terzo se lo guadagna Carlo Verdone in un'inedita versione militate: «Il cinema non è solo svago, è raccontare il presente e prevedere il futuro. Ma aiutiamolo, magari mandando in onda film italiani prima di mezzanotte. E liberateci da Cogne: sta diventando il nostro Twin Peaks. Non se ne può più». Il quarto, il più torrenziale, quasi una ola, l'incassa lo sceneggiatore Stefano Rulli: «Caro ministro, anche noi siamo un potere forte, perché senza di noi il cinema non esiste, perché non siamo divisi. Il governo Prodi si schieri col potere forte del cinema italiano, non può parlare solo di tasse e sacrifici».
Tutto esaurito ieri pomeriggio al teatro Ambra Jovinelli, tempio di Serena Dandini e di una certa sinistra un po' di governo un po' no. A decine sono rimasti fuori, pure incavolati. In sala si svolgeva l'incontro tra cinema e politica organizzato dall'associazione Centoautori, nata per iniziativa del regista Giuseppe Piccioni. Al centro del palco, non proprio imputati ma quasi, il ministro Rutelli, il sottosegretario Elena Montecchi, i parlamentari Andrea Colasio e Vittoria Franco; attorno ai quattro, ripartita in due ali, la delegazione degli artisti, composta dalle sorelle Francesca e Cristina Comencini, Bertolucci, Verdone, Bellocchio, Virzì, Brizzi e altri ancora. Tanti in platea, dal venerato maestro Rosi a Calopresti e Soldini, da Valerio Mastandrea a Isabella Ferrari, più rappresentanti delle istituzioni, Cinecittà Holding in testa. A sorpresa, in tenuta casual, sono arrivati perfino i Vanzina, osservati con benevola curiosità, per la serie: «Ci siamo proprio tutti».
In effetti, sul piano simbolico, la parata ha funzionato. E pazienza che non ci fossero quelli di Rifondazione, Citto Maselli in testa, offesi perché invitati solo all'ultimo momento a vantaggio dei rappresentanti del nascente Partito democratico. I quali, pur bersagliati da ironie, richieste e affondi sulla «questione morale», in fondo se la sono cavata, con l'eccezione della Montecchi, colpita da qualche timido fischio. Certo, la prosa non era esaltante, e potete immaginare il brivido in platea quando la signora, alludendo alla trattativa con Sky, ha spiegato che sarebbe meglio fare le riforme senza «mettere un dito nell'occhio e dire ora ti colpisco». Apriti cielo. Interpretando lo spirito pugnace della sala, Luchetti ha ironizzato: «Noi saremmo tranquillamente per il dito nell'occhio». Nuovo applauso. Raddoppiato in sottofinale quando Bellocchio ha rispolverato il suo cavallo di battaglia: «Vorrei che nelle istituzioni ci fossero gli autori, non i burocrati. Ma che ci sta a fare uno come Alberoni, che non capisce niente di cinema, alla presidenza del Centro sperimentale?».
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