Verdone spiazza con «famolo normale»

Nei tre episodi di «Grande, grosso e...» il comico diverte con le sue maschere surreali

«Forse in un prossimo film interpreterò, come mi chiede, un eroe borghese, ma sto ancora preparando un ritorno ai miei personaggi tipici», rispondeva al mio suggerimento Carlo Verdone nello scorso giugno. Ora esce Grande, grosso e... Verdone, infatti, da lui interpretato e diretto, oltre che scritto con Piero de Bernardi e Pasquale Plastino.
Ammmesso che davvero Grande, grosso e... Verdone chiuda un ampio ciclo di maschere cinematografiche, lo fa quasi quasi al livello dell'apertura. Ma naturalmente manca l'effetto-novità.
Il «primo atto», quello del complicato funerale, è il migliore: senza le pause farsesche, che diluiscono, anziché condensare la comicità involontaria insita nel dramma (la morte improvvisa della madre), l'episodio sarebbe corrosivo, da commedia all'italiana (dei Mostri di Dino Risi, in particolare).
Il «secondo atto» perde invece l'opportunità di continuare a esser cattivo sul serio. Anzi, qui perfino il delitto diventa buonista, coi «puri» adolescenti (Andrea Miglio Risi, nipote di Dino, e Martina Pinto) pronti a far morire in una catacomba l'asfissiante padre (Verdone) di lui. Con le loro facce d'angelo, i due sono ben più ignobili di questo pedante puttaniere sputtanato. Ma ciò sarà colto solo dallo spettatore avvertito; di questi tempi, cioè, quasi da nessuno.


Il «terzo atto» è il ritorno della coppia del «famolo strano»; ora, per cambiare, Verdone e la Gerini dicono «famolo normale»; lui si ripete, ma lei solleva le sorti del finale, perché è tanto bella da esser affascinante perfino quando si cala in un personaggio ruspante.

GRANDE, GROSSO E... VERDONE di e con Carlo Verdone (Italia, 2007), con Claudia Gerini, Geppi Cucciari. 131 minuti

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