La vergogna dei figli Madoff: vogliono cancellarsi il cognome

I nipoti del finanziere imbroglione prenderanno il nome delle madri: così la dinastia sparirà per sempre. I due eredi si sono messi in fila per un posto a Wall Street, ma nessuno li ha più assunti. La moglie Ruth vive in un monolocale e non esce mai: è stata abbandonata da tutti

La vergogna dei figli Madoff: vogliono cancellarsi il cognome

New York - Un giorno i Madoff non esisteranno più. Un giorno vicino. Qualcuno ha mai sentito parlare degli eredi di Al Capone? Certi cognomi finiscono sepolti dall’infamia, prima che dalla storia. L’uomo della truffa del secolo non avrà la prosecuzione della specie. Tira una linea all’albero genealogico: è finita una famiglia, è finito un nome. Perché è sbagliato, insopportabile, vergognoso. Il disonore di avere lo stesso sangue di Bernie non può cadere sui nipoti. Che c’entrano con la storia del nonno? Sessantacinque miliardi di dollari di ignominia: a scuola, all’università, nella vita, sarebbero sempre truffatori nati, i figli dei figli di uno spregevole, le piccole canaglie. No, non si può. Finirà prima questa storia, finirà presto. Mark e Andrew, i figli di Madoff, stanno firmando i documenti per cambiare il cognome dei loro bimbi: si chiameranno come le madri per interrompere l’eredità della vergogna, si chiameranno come le madri per salvare la loro vita. Perché quella dei genitori è compromessa come quella dei nonni. È un po’ quello che ha fatto Bettina Goering, pronipote dell’ex braccio destro di Hitler, Hermann Goering: s’è fatta sterilizzare per non mettere al mondo la prosecuzione della specie. Ecco, non ci saranno più neanche i Madoff. L’America ha deciso che non c’è redenzione per chi ha vissuto accanto all’uomo che l’ha imbrogliata portandosi dietro i risparmi di poveri e ricchi, di giovani e vecchi, di uomini e donne.

Sapevano? La domanda ronza nei giornali e nelle aule dei tribunali, non per la strada. Lì Mark, Andrew e la madre Ruth sono già stati condannati. Non lo sapremo mai, noi, se conoscevano il grande inganno di Bernie. Non lo sapranno neanche la polizia e i magistrati che indagano. Restano molti sospetti ma anche molte attenuanti. Lavoravano con lui, i figli. Quindi sapevano. Però non avevano potere, nonostante il ruolo apparentemente di prestigio che occupavano. Quindi potevano essere all’oscuro di tutto. E poi sono stati loro a denunciare, no? Non conta niente, adesso. Conta solo quel cognome che vale comunque per una condanna a prescindere. Sono fuori dai giochi e fuori dal mondo.

Loro che avevano in mano la finanza di tutta New York, adesso non riescono a lavorare. Si sono messi in fila per un lavoro esattamente un anno dopo la denuncia dello «schema Ponzi» con cui papà ha rovinato migliaia di risparmiatori per miliardi di dollari. In fila come due broker normali: Wall Street stava assumendo, dopo il ciclone della crisi. Ha imbarcato un po’ di gente, la nuova finanza post crac. Ma non loro: avere Madoff scritto sul curriculum è un ostacolo troppo grosso. Mark ha lavorato per vent’anni alla Bernard Madoff Investment Securities LLC. Avrebbe voluto tornare a lavorare dietro le quinte, accontentandosi di qualunque posto. «Con un nome come il suo è un intoccabile per qualsiasi azienda che tratti direttamente con il pubblico», ha scritto il Wall Street Journal. Andrew era direttore degli scambi, quando la ditta paterna è malamente crollata sotto il castello di carte degli investimenti fasulli. Senza lavoro anche lui. Senza speranza di trovarne un altro, dopo l’attesa di quattro mesi di una risposta da una società che sembrava interessata. Anche di lui s’è occupato il Journal: «Sta pensando di fondare una società specializzata in recupero da disastri». Intestata a qualcun altro, perché altrimenti sarebbe uno scherzo. Non c’è appello e neanche perdono: il nome è il marchio dell’infamia. Per evitare pericoli New York e l’America hanno emarginato anche tutti quelli che non hanno quel cognome, ma hanno lavorato o vissuto accanto a Bernie. Eleanor Squilleri, ex segretaria del finanziere truffatore, spera di crearsi una nuova carriera nella cosmesi, dopo aver frequentato l’estate scorsa un corso da estetista. L’ha detto agli amici: «Tanto so che non troverò mai un altro lavoro nel settore finanziario». Non lo troverà anche Elaine Solomon, assistente personale di Peter Madoff, il fratello di Bernie: nessuno l’ha assunta finora e non è servito a nulla il fatto che anche lei avesse investito e perso 200mila dollari per conto della madre. Come a dire che una vittima non merita attenuanti se ha vissuto troppo vicino alla fonte della sua sfortuna.

Figurati Ruth, allora. La moglie. Lei che il giorno prima dell’inizio del caos ritirò da un suo conto dieci milioni di dollari. Anche per lei la stessa domanda: sapeva? Il tribunale non l’ha accertato, anche se su di lei pende una richiesta di risarcimento di un creditore: una causa da 44 milioni di dollari. Sono solo soldi, però. La vita di lady Madoff non sarebbe migliore se non fosse in attesa di questa sentenza. L’ignominia è peggio di un risarcimento multimilionario. Lei era la regina dei salotti di New York e adesso non esce più di casa. Quale casa, poi. Viveva in un attico da 380 metri quadrati e otto milioni e mezzo di dollari che dominava Central Park, adesso vive in un appartamento sulla Novantesima strada: quaranta metri quadrati. Ha faticato come una dannata per trovarlo. Nessuno la voleva. Maledetto cognome e maledetti fotografi che l’avevano ritratta troppe volte con il marito: per mesi tutti i condomini dell’Upper East side l’hanno rifiutata per non avere una Madoff nel proprio palazzo. Ora che ha trovato casa non esce più: chiusa per evitare incontri, chiusa perché sa che tutti la eviterebbero.

«È la donna più sola di New York e quindi del mondo», ha scritto il New York Times. Niente più colpi di sole di colore soft baby blonde, un biondo da bambino scandinavo. Il suo (ex) parrucchiere Pierre Michel le ha chiesto di non tornare: molte sue clienti sono state vittime della diabolica catena di Sant’Antonio di Bernie. Lo stesso ha fatto Marco Proietti, il responsabile del ristorante italiano Bella Blu, il preferito dei Madoff: «Tutti sono convinti che lei sapesse e uno dei nostri clienti ha perso 10 milioni». Ruth è bandita dal mondo. L’ultima fotografia che la ritrae è stata scattata in estate da un appartamento vicino alla vecchia casa dei Madoff. Era un servizio speciale per Vanity Fair: dell’ex regina di New York si vedono solo le mani che digitano nervosamente su un Apple. Poi un altro scatto in lontananza, mosso: Ruth seduta su un divano, in una posa da massaia devastata dai lavori domestici. Altro che grande salottiera.

Altro che elegante signora dei quartieri chic, come New York era abituata a conoscerla. Adesso che è facilmente attaccabile esce tutto: il libro Madoff with money, scritto da Jerry Oppenheimer, racconta alcuni episodi della vita dell'ex presidente del Nasdaq e di sua moglie. Lui viene dipinto come un truffatore seriale: «Ha ingannato lo zio Sam fingendo problemi nervosi durante l’era della guerra in Vietnam». Dettagli e curiosità. Cose vere e cose verosimili, perché ora il confine è più sottile di prima e non c’è rischio di smentita. Vero, di certo è l’aneddoto dell’orologio: «Poco prima del suo arresto, un amico incontrò Madoff a Central Park con due Rolex d’oro al polso. Gli chiese: perché Bernie? “Devo sapere che ora è a Londra”».
E lei? Ruth sarebbe stata un’altra persona fuori dal mondo: «Era ossessionata dallo shopping: pochi giorni dopo l’arresto del marito la sua unica preoccupazione riguardava un abito da 4.000 dollari acquistato a Palm Beach. Si chiedeva se fosse stato spedito o meno». Voleva tutto, lady Madoff. Ora tutto quello che aveva è di qualcun altro. La casa di Manhattan e quella degli Hamptons sono state confiscate per risarcire in parte i creditori del marito.

Poi il resto, finito in un’asta da film battuta qualche mese fa. In fila mezza città, come se quel giorno dell’asta fosse in realtà la rivincita di New York sul suo aguzzino in grisaglia. Creditori e curiosi, uomini d’affari e famiglie: in coda per la vendetta. Chi offre di più? C’era la collezione di orologi del marito, compresi quei due puntati uno sull’ora di New York e uno su quella di Londra. C’era il giubbotto personalizzato dei New York Nets. C’erano i cappellini regalati dai giocatori di baseball e di football all’uomo che loro credevano li avrebbe resi più ricchi di quanto già non fossero. Poi quel lotto: il 218.

Un paio di orecchini di diamanti di Ruth. Valore: 21mila dollari, più o meno. Partenza diecimila, poi quindici, diciassette, venti, trenta, quarantacinque. Settantamila, ecco l’offerta vincente. Tre volte e mezzo il valore vero. Quasi una truffa.

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