Antonio Lodetti
da Milano
«Ho nutrito per anni la speranza, ma oggi so che la mia piccola se n'è andata tra le acque di quel fiume». Così Al Bano racconta la scomparsa della figlia Ylenia nel Mississippi. Il cantante ne parla per la prima volta nell'autobiografia scritta per Mondadori, È la mia vita, anticipata in alcuni passi da Chi. Al Bano rivela molti particolari sull'incubo che visse a New Orleans nel gennaio 1994: «Ylenia scappò dalla stanza correndo e uscì dallhotel. La inseguii e lei fermava i tassisti gridando: Aiuto! Quelluomo vuol farmi del male. Ho capito allora che si trattava di qualcosa di grave: di droga. Fu un inseguimento di unora. I poliziotti mi fermavano e io spiegavo che ero il padre di quella ragazza che fuggiva. Non riuscii a prenderla. Il fatto è che la sera prima lei aveva incontrato un artista di strada di colore, Alexander Masakela, che in qualche modo laveva affascinata. Lho letto nei diari di Ylenia. La sera della sua fuga, lei aveva appuntamento proprio con Masakela. E lho persa per le stradine di quella maleodorante città. Quelluomo me lha portata via». Nellintervista esclusiva, pubblicata sempre su Chi, Al Bano rivela come è nato il libro e il capitolo su Ylenia. «Ho bevuto fino a stordirmi - confessa - prima di aggiungere il capitolo sulla scomparsa di Ylenia. Questo dramma è una ferita ricucita alla bell'e meglio; sono passati 12 anni, ma ogni volta che ne parlo i punti si riaprono. Eppure ho raccontato le mie esperienze per mettere in guardia tanti padri e tanti figli».
Al Bano ricostruisce così, col cuore in mano, la storia della sua primogenita. Svela i primi approcci di Ylenia con la droga. «I guai cominciarono quando aveva 14 anni. Era il 1984, mi disse che il suo più grande desiderio era partire per lAmerica e insistette così tanto che dovetti lasciarla partire... Poi un giorno mi confessò che aveva fumato marijuana, lei che detestava il fumo. Mi cascò il mondo addosso. Secondo me in quel momento è iniziata la sua caduta». Una caduta cui Al Bano ha cercato, come poteva, di porre un freno. «Nel 1993 lei aveva 23 anni. Poteva fare ciò che voleva della sua vita ma non è una giustificazione. Così decise di restare a New Orleans e io la vedevo stralunata. Non mi intendo di droga e non so quali effetti può dare. A malincuore noi andammo in Florida, dove Ylenia ci raggiunse due giorni dopo. In quelloccasione disse a Romina che, per colpa di Masakela, aveva rischiato la vita. Sotto leffetto della droga era entrata nelle acque del Mississippi. Ma aveva sentito la corrente che le artigliava le gambe, si era spaventata ed era riuscita ad uscire. Ci fu in quel periodo un attimo di tregua. Ho parlato con mia figlia, ci siamo chiariti. Era la fine di luglio, partimmo per tornare in Italia. Quando arrivammo a Roma Ylenia mi disse che in ottobre sarebbe andata nel Belize per scrivere un libro. Quella è la zona da cui partono gli artisti di strada per andare a New Orleans; lei voleva scrivere un libro su quel mondo. Mi disse di non tentare di convincerla a restare perché non ce lavrei fatta. DallAmerica scrisse e telefonò raramente. In dicembre mi proposero una tournée in Ecuador. Accettai e lo feci sapere ad Ylenia, avremmo potuto passare il Natale insieme. Lei rifiutò. Questo rifiuto mi fece capire che ogni cosa era perduta». Poi il momento più tragico. «Telefonò lultimo dellanno per fare gli auguri. Le chiesi dove si trovava. Che importanza ha?, fu la risposta. E da lì lincubo. «Trenta giorni di incubo. Di notte andavo coi poliziotti armati a cercarla nei covi dei drogati, gente ridotta male coi topi sulle spalle e i vestiti laceri. La decadenza totale ma io sapevo che non cera.
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