La proposta di legge sul conflitto d'interessi riprende il suo cammino alla Camera. Qui di seguito una serie di sintetiche considerazioni sulle principali questioni che essa pone. Pesa sulla proposta, come si sa, il sospetto di essere preordinata al sostanziale siluramento del capo dell'opposizione. Non è un sospetto da poco, ed è difficile da fugare. Comunque la si pensi, si deve riconoscere che non è «elegante» che la maggioranza proponga e approvi (da sola) una legge il cui effetto principale è quello di mettere in difficoltà il capo dell'opposizione. Si possono fare mille discorsi diversi, ma il dato politico e costituzionale è questo: in un sistema bipolare, uno dei due poli si accinge a far fuori il principale esponente dell'altro. E se non è questo un caso macroscopico di conflitto d'interessi...
Si dice: il problema non è Berlusconi, è l'approvazione di una legge che impedisca a tutti i titolari di cariche di governo di esercitare le proprie funzioni per fini che non siano di interesse generale. Benissimo: ma l'Italia non è priva di una legge sul punto. Vige attualmente la legge Frattini (n. 215 del 2004) che ha esattamente questo obiettivo. Il pregiudizio corrente è che essa sia inefficace, anche perché approvata da una maggioranza allora controllata da Berlusconi. Tuttavia, a stare all'opinione delle due Autorità indipendenti cui questa legge ha conferito importanti attribuzioni (quella per le garanzie nelle comunicazioni e quella per la concorrenza e il mercato), non si tratta affatto di una regolamentazione inutile. È semmai una legge perfettibile in vari aspetti. Non sarebbe allora politicamente più elegante, per la maggioranza, ascoltare i rilievi delle due Authority ed emendare la legge Frattini? Quale modo migliore per fugare ogni sospetto e operare nell'interesse di tutti?
Altro macro-aspetto che balza agli occhi: secondo la proposta di legge, le cariche di governo sono incompatibili con la proprietà di un patrimonio di valore superiore a 15 milioni di euro. Chi è in questa condizione deve scegliere: o elimina l'incompatibilità (costituendo un trust cieco, cioè affidando quel patrimonio a un terzo che lo gestisce in assoluta autonomia) o si intende che rinuncia alla carica di governo. In ciò sta un radicalismo pauperista largamente incomprensibile. La cifra è rilevante, intendiamoci: ma quel che disturba è la presunzione che il possedere un patrimonio (per eredità, lavoro di una vita ecc.) sia di per sé fonte di difficoltà di rapporti con la politica. Alla fine, questa scelta è un deciso contributo nel senso dell'auto-chiusura della classe politica agli apporti che i ceti possidenti e produttivi possono dare alla gestione della cosa pubblica. In questo momento di polemiche sulla «casta», non sembra la scelta più felice.
La proposta di legge dà vita all'ennesima Authority, l'«Autorità per la prevenzione dei conflitti d'interesse e delle forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione». I poteri di questa autorità sono notevolissimi, così come molto ampia è la platea dei possibili destinatari dei suoi provvedimenti. Le norme sul conflitto d'interessi non riguardano infatti i soli titolari di cariche di governo nazionali, ma anche presidenti e assessori regionali, presidenti e assessori provinciali, sindaci e assessori dei Comuni con più di quindicimila abitanti! Non si può non temere il crearsi di una struttura burocratica elefantiaca, una sorta di grande fratello della «moralità economica» dei governanti (o aspiranti tali) e delle loro famiglie (più o meno allargate, visto che l'Autorità dovrà tenere d'occhio anche il patrimonio dei conviventi non a scopo di lavoro domestico: una specie di pre-Dico riservato ai titolari di cariche di governo...).
Alla fine, ci si può chiedere se tutto non potrebbe risolversi rendendo più stringenti gli obblighi di trasparenza, al cospetto del Parlamento e dell'opinione pubblica, già previsti dalla legge Frattini.
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