Controcultura

Il vero welfare in uno spot di Salvatores

Nel dizionario della lingua italiana, strumento in costante mutamento ed evoluzione, fino ad alcuni anni fa il termine sessismo non esisteva. O perlomeno non veniva utilizzato così a sproposito come oggi, neologismo utile ad additare a modello sbagliato qualsiasi cosa non corrisponda ai canoni, peraltro non facilmente identificabili, del politicamente corretto.

Complici i social che incitano alla diffusione a macchia d'olio del parere di chicchessia, tale delirio ha colpito persino un placido spot pubblicitario commissionato da una catena di supermercati a Gabriele Salvatores, regista di comprovato talento che non ha peraltro mai nascosto le proprie simpatie a sinistra. In 30 secondi, l'intervallo di tempo perfetto per una microstoria, il premio Oscar ambienta il set nella casa di una famiglia italiana del Sud. È la vigilia di Natale e al figlio, ventenne, arriva improvvisa la telefonata che attendeva. Il posto di lavoro è suo, ma deve partire subito, ora, per il «grande Nord». Niente cenone dunque, tra la mesta rassegnazione della fidanzata e gli occhi lucidi della madre che, preoccupata come ogni mamma, riempie la borsa del ragazzo di caciocavallo (orrore, sulle camicie pulite) e taralli. Interviene il padre, con equilibrio e saggezza, sostituendo alle derrate alimentari una tessera prepagata del super. «Così potrai comprarti ciò che vuoi e pensare a noi».

In tale idilliaco quadretto, rappresentato in sospensione neo-metafisica senza precise coordinate spaziotemporali, sono due le note stonate: il ragazzo ha un accento simile a Giggino Di Maio e dunque ci è antipatico a prescindere. A Milano, dove altro potresti andare?, con 100 euro non fai molta strada, forse il padre avrebbe potuto dimostrarsi più generoso, almeno sotto Natale.

Per il resto, lo spot è un riuscito quadretto d'autore che non piace a quegli ossessivi che scorgono il male ovunque. Troppe, secondo loro, le discriminazioni fra Sud e Nord, fra uomini e donne, fra tradizione e innovazione. Teorie che non stanno in piedi, perché per altrettante buone ragioni andrebbero cancellate pubblicità con donne discinte, uomini muscolosi, macchine troppo veloci, signore che discutono di assorbenti o di cosmetici, ragazzini idioti e i loro smartphone.

C'è da supporre allora che il «fastidio» abbia radici più profonde, per esempio che ripercorrere oggi il tema dell'immigrazione interna rispetto al dramma di popoli stranieri che fa audience e polemica politica sembra davvero poca cosa. E invece no, il tinello di Salvatores, umile ma decoroso, semplice ma non povero, ci dice due cose: la prima, che il vero welfare nel nostro Paese è garantito dalle famiglie, non certo dalle politiche governative. La seconda, non so quanto volontaria, sulla questione lavoro «prima gli italiani». Invece del pietismo (pensate al plauso se quella tessera fosse stata regalata a un extracomunitario), il regista mette al centro la dignità del nucleo familiare. Anche se in quella casa non ci sono libri ed è arredata con semplicità.

Perché questa è l'Italia, teniamocela ben stretta.

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