Spettacoli

Verrà la buona Filosofia e consolerà Boezio in nome della giustizia

Dal libero arbitrio alla «semplice» verità mai il Medioevo ci è sembrato così vicino

Verrà la buona Filosofia e consolerà Boezio in nome della giustizia

Anno Domini 525. Nelle segrete del palazzo regio di Teodorico, il re dei Goti che nella seconda metà del quinto secolo cercava di riunificare la penisola italica sotto un'unica guida politica dopo la caduta rovinosa dell'Impero Romano, un funzionario regio, sorvegliato giorno e notte, attende, con spasmodica impazienza, il verdetto che lo riguarda. Il suo nome è Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, colto e preparato intellettuale di corte, nonché console e maestro di palazzo del sovrano. La sentenza comminata ai suoi danni è agghiacciante: Boezio è condannato a morte per alto tradimento. La sua politica di rafforzamento delle istituzioni senatorie venne letta dai «collaboratori» (leggi: tirapiedi) del sovrano come un attacco volto a indebolire la corona ferrea del re ostrogoto a vantaggio dei nemici bizantini: nulla di più falso, solo l'ennesimo gioco di intrighi tra caste che ambivano a non condividere il loro potere con altre «cordate». Incarcerato a Pavia, Boezio verrà decapitato nel 526. Nel corso della sua detenzione, lunga un anno, il patrizio romano scrisse la sua opera universalmente più nota, conosciuta in lingua italiana con il titolo Consolazione della Filosofia. L'opera è appena stata pubblicata per i tipi di Mondadori (LXXX + pagg. 380, euro 50), in un'edizione critica impeccabile con testo originale latino a fronte, nella blasonata collana della «Fondazione Lorenzo Valla», a tutt'oggi la collana più autorevole di classici greci, latini e medievali per la vasta (e selezionata) platea dei lettori italiani non occasionali. Basterebbe leggere i nomi dei curatori per caldeggiare la lettura della Consolazione della Filosofia. L'introduzione è curata da Peter Dronke, unanimemente considerato lo studioso contemporaneo di riferimento per decriptare gli arcana del latino medievale. La traduzione in lingua italiana vanta studiosi quali Michela Pereira e Piero Boitani. La disamina del trattato, composto da 5 libri in prosa e in versi capaci di trasportare nel cuore del Medioevo dei letterati, è così minuziosa e chiara da affascinare tanto il curioso quanto lo specialista. La costruzione dell'opera è talmente esperita da mettere a frutto secoli di tradizione retorica e stilistica, da Aristotele a Porfirio, da Menippo a Varrone. Grazie ad essa, (ri)scopriamo come e perché la «Filosofia», impersonificata da una nobildonna, si presenta ad un Boezio che trema, ogni giorno della sua cattività, al solo tintinnio delle alabarde, per rincuorarlo dal terrore che pervade la sua anima. La «Filosofia, donna così imperiosamente autorevole», appare, come una visione, al senatore incredulo, indicandogli (e indicando ai lettori dell'opera) quali siano i beni ai quali ambire per condurre un'esistenza degna di essere coscienziosamente vissuta. Il primo libro focalizza la natura strumentale delle accuse rivolte a Boezio, come dimostrato dal profilo dei testimoni, basti citare «Basilio, allontanato da tempo dal servizio del re», il quale «è stato spinto a denunciare il mio nome dalla necessità di pagare i suoi debiti». Leggere la Consolazione della Filosofia ti proietta subito sul presente. Le cariche pubbliche esercitate dalle persone sbagliate danno la stura ad una considerazione amara e preveggente: «quali fiamme dell'Etna in eruzione, quale diluvio avrebbero prodotto stragi così grandi?». Quante volte, a nostra insaputa, abbiamo formulato amare riflessioni sulle storture che il potere ci infligge ogni santo giorno, al pari di quanto declamato nel secondo libro? La risposta a questo malessere diffuso, che ai giorni nostri sembra prevalere, consiste nella ricerca perenne di beni materiali, atti a colmare quel vuoto contro cui «ci sbattiamo tanto per chiuderlo/ ci proviamo e non ci riusciamo mai», come cantavano... gli 883. Nel terzo libro siamo spronati dall'autore a cercare la vera felicità, data dalla conoscenza e dalla successiva fruizione della beatitudine di Dio, manifestata con l'esercizio mirato di tutte quelle virtù che oggigiorno hanno reso la civiltà occidentale il modello vincente su scala globale: in primo luogo, l'equilibrio tra il bene pubblico e le istanze dell'individuo, a seguire la moderazione come misura di comportamento in un'esistenza da vivere senza futili eccessi. Il quarto libro introduce noi, figli dell'epoca nichilista per antonomasia, a riconsiderare con una nuova sensibilità temi che abbiamo relegato al rango di anticaglie ormai inservibili, quali la «semplicità della provvidenza, l'ordinamento del fato, gli accadimenti inaspettati, la conoscenza e la predestinazione divina, il libero arbitrio». Il libro capace di rianimare «Dante dopo la morte di Beatrice», per citare gli italianisti Bosco e Reggio, non chiude, bensì apre al futuro di tutti noi. La quinta ed ultima parte è incentrata sul rapporto tra la Provvidenza di Dio e la libera azione umana. Il nostro destino è già predeterminato da Dio oppure noi costruiamo liberamente, giorno dopo giorno, il nostro futuro? Esiste una mano divina che guida le nostre azioni o siamo solo delle monadi venute alla luce per mero caso, tutt'al più come frutto di un atto di piacere tra un uomo e una donna? La risposta del credente Boezio è postmoderna, e per questo sorprendentemente attuale. «Supponiamo che la prescienza esista, ma che non imponga alcuna necessità alle cose: il libero arbitrio rimarrà, come penso, libero e assoluto». Al libro scritto tra il 525 e il 526 d.C. si attaglia perfettamente quanto proferito dallo scrittore Italo Calvino e annotato nella raccolta (postuma) Perché leggere i classici (1991), a proposito di quei libri che tutti noi dovremmo leggere, almeno una volta nella vita: «un classico è quel libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire».

Non basta immedesimarsi nei versi commoventi dell'undicesimo canto del Paradiso dantesco, per esperire, nella loro spietata crudezza, cos'abbia causato l'effetto di «cacciata», «martirio» ed «essilio» sulla pelle del «Boezio» di turno. L'edizione dell'opera, appena pubblicata, aggiunge molto, molto di più alla gradevole tonalità di giallo della sovraccoperta, destinata a svettare, per la sua fluorescenza, nelle case di tutti i lettori. Da quest'anno, l'opera di Boezio entra definitivamente nel gotha dei testi a noi giunti ben al di là del tempo in cui videro la luce, pubblicati nella collana più autorevole dei classici greci e latini oggi esistente in lingua italiana con testo originale a fronte, al pari di un Omero e di un Virgilio.

Educare le anime alla ricerca del vero bene senza fatue illusioni: mai un testo dal sapore così genuinamente medievale è stato così modernamente consolatorio.

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