Politica

La Versace e la coca: «Su Kate Moss la moda è drogata di ipocrisia»

La stilista uscita dalla dipendenza difende la modella che è entrata in clinica

Marco Lombardo

Ipocriti. Tutti drogati di ipocrisia quelli della moda che chiudono gli occhi davanti a una sniffata e li riaprono solo quando in prima pagina c’è Kate Moss. «Ipocriti». E l’accusa non arriva questa volta dal solito reportage sul dietro le quinte delle passerelle tutto sesso, droga e a volte rock and roll. L’accusa arriva da Donatella Versace in persona, una che con la cocaina ha lottato e a quanto pare vinto. E per credere bastava vederla ieri di persona e in gran forma alla vigilia della presentazione della sua collezione Donna.
Era il suo giorno alle sfilate di Milano ed è stato il giorno della resa dei conti con chi giudica, condanna, dimentica. Motivo del contendere era appunto Kate Moss, ma non lei sola, scaricata da tutti non appena il (non solo) suo vizietto è diventato una foto da scoop. Donatella Versace ha parlato senza paura, come quando un anno fa annunciò al mondo della moda che si sarebbe ritirata in clinica per disintossicarsi: «Io non sono stata attaccata, hanno semplicemente detto dov’ero anche se l’avrei fatto io in ogni caso. Kate invece è stata umiliata e io allora la difendo, perché così non la si aiuta ma la si distrugge: è una donna intelligente, avrebbe smesso da sola. Così invece...».
Così invece Kate Moss ci sta provando, dopo essere fuggita terrorizzata - hanno detto - da Londra ed essersi rifugiata in Arizona nella Meadows Clinic, dove seguirà un mese di trattamento. Kate ci prova, dopo aver perso contratti importanti come quelli di Burberry e H&M, ma aver ritrovato amici come Ermanno Scervino («La voglio come testimonial della mia prossima campagna») e, appunto, Donatella: «Sul tema della cocaina c’è tanta ipocrisia in questo mondo: sniffate le fanno tutti e tutti sanno quello che succede. Poi fanno scalpore solo le persone famose quando vengono beccate. E poi, vogliamo parlare dell’alcol? È una piaga incredibile, pari a quella della droga. Ma non fa notizia». Ipocriti, insomma, perché non basta riaprire gli occhi dopo averli chiusi per convenienza, perché questo - dice la Versace - sarebbe il momento di stare vicino a tutte le katemoss del mondo. Anche se «non c’è un comportamento corretto in casi come questo, non si possono dare consigli. Uscire dalla dipendenza è un percorso duro, personale. Bisogna essere pronti ad affrontarlo».
Le cronache dicono allora che Kate Moss ci sta provando, nella clinica consigliata dalla collega Elle Macpherson - che lì fu ricoverata due anni fa in un periodo di depressione - e che ha accolto anche altre celebrità come il calciatore britannico Paul Gascoigne e il presentatore della tv britannica Michael Barrymore. Lì viene imposto un trattamento terapeutico severissimo, non si possono ricevere visite nelle prime quattro settimane di degenza e non si possono neanche vedere i propri figli. Neppure Lily Grace, la piccola di Kate, che ieri ha festeggiato il terzo compleanno senza la mamma. Lì, in quella clinica come in altre simili, è il percorso duro e personale di chi ha sbagliato, di chi magari non ha scusanti. Ma anche di chi vuole ricominciare.

Tutto il resto è solo ipocrisia.

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