Daniela Fedi
da Milano
«Laspirante premier? Vien voglia di dire evviva Bettino Craxi» ha dichiarato ieri Santo Versace, durante il convegno organizzato da Milanovendemoda per rilanciare la figura dellagente di commercio. «Oltre alla sua innegabile statura politica, aveva la capacità di amare e capire il made in Italy, una cosa più che mai indispensabile in un momento storico come questo» ha aggiunto Versace sparando a zero soprattutto sulloperato della Commissione Europea. Inevitabile a questo punto chiedergli se lobbiettivo del suo discorso fosse Romano Prodi. «Io non ce lho con nessuno in particolare, ma certo mi preoccupa vedere che le istituzioni non difendono un settore vitale per leconomia del Paese. Prodi è stato cinque anni in Commissione occupandosi di tutto fuorché di moda: dal diametro dei piselli alla lunghezza delle banane».
E invece cosa doveva fare?
«Evitare che ci trovassimo allo scoperto e senza alcuna strategia in un mare di guai. Insomma non ha analizzato e capito i problemi del sistema moda europeo. Così da quando lo scorso gennaio è caduto laccordo Multifibre che regolava limportazione sul mercato europeo di prodotti tessili dalla Cina, le cose sono andate ancor peggio del previsto. Eppure la moda rappresenta il 6 per cento del Pil italiano, non bruscolini».
Barroso sta facendo meglio?
«Mi sembra molto attento alla tutela degli interessi legittimi e già questo non è poco perché noi siamo praticamente disarmati davanti al dumping e alla concorrenza sleale. In ogni caso bisogna considerare che non abbiamo ancora un vero governo europeo, per cui ogni Paese fa storia a sé soprattutto per quel che riguarda unindustria particolare come quella della moda. Insomma in Commissione ci sono i rappresentanti di 25 governi di cui quattro quinti indifferenti ai nostri problemi».
I francesi si sono mossi meglio di noi italiani?
«Difficile dirlo visto che adesso lemergenza è alta per tutti. Certo loro sentono maggiormente il problema della contraffazione. Noi invece abbiamo lintera filiera del tessile-abbigliamento e i problemi ricadono a cascata su tutto il sistema».
Lei però durante il convegno di Milanovendemoda ha detto anche che noi italiani dobbiamo smetterla di piangerci addosso...
«Su questo non ci piove: lunica cosa da fare è rimboccarci seriamente le maniche. Il primo articolo della nostra Costituzione dice che lItalia è una Repubblica fondata sul lavoro. Be, io lo cambierei dicendo che gli italiani hanno lobbligo di lavorare. I diritti sono figli dei doveri. E chi lavora nel mondo della moda è già più fortunato degli altri».
In che senso, scusi?
«Il made in Italy è un fatto di cultura e su questo siamo tutti daccordo. A qualunque livello dovremmo sentire il coraggio e lorgoglio di contribuire con il nostro sforzo alla perfetta funzionalità del sistema. Invece oggi vogliono far tutti i generali: gli stilisti invece dei sarti, i dirigenti invece degli artigiani. Così non si arriva da nessuna parte. Il nostro è un prodotto di alta qualità. Figlio del fare, dunque, così come la competitività è figlia dellamore per il lavoro».
Visto che parla tanto di figli, lei ai suoi cosa dice?
«Che il termine vip piace solo agli sfigati.
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