Un vertice dimezzato

La storia diplomatica registra due tipi di conferenze internazionali di pace: quelle che servono a nascondere i preparativi di guerra o a prolungarla soprattutto sul piano propagandistico (esempio la conferenza della pace dell’Aia del 1909 o le conferenze sul disarmo a Ginevra durante la Guerra Fredda); quelle che trasformano situazioni conflittuali in situazioni armistiziali o di pace più o meno duratura. Queste ultime sono le conferenze che riescono a stabilire nuove regole di comportamento fra le parti in conflitto e che sono diventate storiche non solo per aver prodotto nuovi sistemi di relazioni internazionali a seguito di guerre «epocali» ma che hanno promosso un tipo nuovo di Stati. Questo è stato il caso della pace di Westfalia (1648) che fece nascere lo Stato sovrano ponendo fine alle guerre di religione in Europa; il Congresso di Vienna (1815) che dopo le guerre napoleoniche creò lo Stato nazione; la Conferenza della pace di Parigi del 1919-1920 dopo la Prima guerra mondiale che consacrò il ruolo delle Nazioni-Stato nel sistema della Lega delle Nazioni eccetera.
Alla luce di queste molto sintetiche considerazioni come si può qualificare la Conferenza di pace sul Medio Oriente che si apre oggi a Roma? Ovviamente si tratta di un congresso monco perché i principali attori impegnati nel conflitto - Israele, Siria, Iran assieme ai non-Stati, come gli Hezbollah, Hamas e l’Autorità palestinese - non sono stati invitati. In secondo luogo si tratta di una conferenza che mira a creare una forza di interposizione efficace tra Israele, gli Hezbollah (e forse come auspica il capo della diplomazia italiana anche a Gaza) proposta già respinta dagli Hezbollah stessi che non intendono essere disarmati come previsto dalla Risoluzione dell’Onu 1559. Israele ha accettato l’idea di questa forza internazionale a condizione però che essa sia capace e disponga dell’autorità per ristabilire la sovranità del Libano nel Sud di quel Paese mettendo fine al terrorismo islamico sostenuto dalla Siria e dall’Iran. Infine, l’Onu è disposta a legittimare l’invio di questa forza di interposizione ma solo dopo un cessate il fuoco che né Israele né gli Hezbollah intendono accettare per il momento.
Questa Conferenza della pace a Roma è dunque un inutile esercizio diplomatico? Non necessariamente. E per varie ragioni. La prima è che la Conferenza è stata convocata. Anche se durerà solo una mezza giornata metterà a confronto posizioni politiche differenti ma autorevoli e aiuterà a cercare vie di compromesso. In secondo luogo dal momento che la Conferenza - come ha detto il segretario generale dell’Onu Annan - «non può fallire», sarà obbligata a creare strumenti diplomatici per seguire da vicino l’evoluzione della crisi e mantenere forte la pressione sui combattenti perché limitino il più possibile le sofferenze della popolazione civile. Questo significa per Israele accettare e allargare i corridoi umanitari tanto in Libano che a Gaza. In terzo luogo c’è il tentativo di ridurre i tempi dei combattimenti.

Qui, paradossalmente, il rifiuto degli Hezbollah di cessare il lancio dei missili contro Israele rende più facile a quest’ultimo di proseguire nella sua offensiva per distruggere le loro strutture militari e per gli americani di tentare di diminuire le forniture belliche iraniane agli Hezbollah agendo sulla Siria unico Paese che in questo momento ha la possibilità di esercitare un efficace controllo su queste forniture.

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