Politica

Il vescovo: «La ’ndrangheta è come il diavolo»

Monsignor Bregantini parla del delitto del vicepresidente della Regione: «Il sangue versato da Francesco Fortugno testimonia la voglia di riscatto della gente di Calabria»

Luciano Gulli

nostro inviato a Reggio Calabria

Fa piacere vedere ogni tanto un prete vestito da prete. Il vescovo di Locri Giancarlo Maria Bregantini, 57 anni, trentino della Val di Non, è di questi. Bello dritto nella sua veste nera lunga fino ai piedi, il crocefisso d’argento orgogliosamente ostentato sul petto, monsignor Bregantini è uno di quei preti di montagna tosti e sereni che ti rimandano per la tua strada con una scintilla di fiducia nel genere umano che pensavi di avere smarrito.
A lui, che da 11 anni governa la diocesi di Locri-Gerace, la mafia gli fa un baffo. Cita il Faust di Goethe: «Il diavolo è quella parte di forza che vuole sempre il male, ma di fatto produce sempre il bene». La ’ndrangheta, dice monsignore, è come il diavolo: «Grida, ma è alla catena. E il sangue versato da Francesco Fortugno testimonia il coraggio e la volontà di riscatto di una gente che non tollera più di essere umiliata».
Non che ci sia da stare allegri, tuttavia, con 22 omicidi in quattordici mesi e solo 2 casi risolti.
«Non c’è da stare allegri soprattutto a Roma. Perché quest’ultimo episodio è uno schiaffo alla politica, non alla realtà di Locri. Qui c’è un terrorismo mafioso che vuol sottomettere la politica. Sarà meglio che se ne accorgano, i signori del governo. Ma questa, se la si vuol cogliere, può diventare un’occasione d’oro per invertire una tendenza, per far uscire la Calabria dall’angolo morto in cui è stata dimenticata».
Non è già un po’ troppo tardi?
«No. La ’ndrangheta cerca di spezzare i legami tra la gente e la classe politica, perché così possa dominare e piegare entrambi. Ma non ci riusciranno. Ha visto quelle centinaia di ragazzi e ragazze, in corteo? Ha visto cosa c’era scritto su quello striscione? L’omertà è la loro forza. Noi la loro fine. Questo c’era scritto. Ed è così. La ’ndrangheta è una minoranza aggressiva, feroce. Ma è un cane legato alla catena. Non prevarranno».
Che fare, nel frattempo?
«Se occorre, come ho detto anche di recente, la zona va militarizzata, perché i criminali sentano la forza dello Stato. Soprattutto la Guardia di finanza deve seguire, con tutti i mezzi più raffinati e moderni, il crescere dei circuiti economici, come gli appalti, le costruzioni, i giri del denaro, l’arroganza dell’usura, il gioco interessato e spesso miope delle banche. Bisogna mettere sotto la lente d’ingrandimento le ricchezze immediate, i palazzi che sorgono dal nulla. È il denaro che interessa alla ’ndrangheta. E perciò, oltre alla purificazione etica, occorre una forte purificazione economica».
Militarizzare il territorio non basterà.
«Certo che no. Il controllo affidato ai militari è necessario. Ma qui, per ribaltare questa realtà marginale ci vogliono investimenti, infrastrutture, trasporti, una scuola decente, servizi. Tutto questo manca. E un figlio non amato, spesso diventa cattivo. Ma ci vuole anche che la gente di Calabria impari ad amare di più la sua terra».
Che vuol dire?
«Sa che cosa colpisce i forestieri che si avventurano lungo la Jonica? Non è la mafia, che non si vede. È la bruttezza delle costruzioni, questa teoria di case e palazzi orrendi, non finiti, non intonacati. Il brutto, la mancanza di senso estetico, di affetto per quel che ti circonda non genera buoni sentimenti».
Un’altra cosa che colpirà il forestiero, forse, è che è più facile andare da Milano a Lisbona, o a Copenhagen, che a Locri.
«E per tutta risposta sa cosa hanno fatto? Hanno soppresso il treno che andava da Reggio a Bari e quello che ti portava a Roma e Firenze passando da Catanzaro. Al Nord si pensa al triplicamento dei binari, alle linee veloci per gli Eurostar. E qui si levano i pochi treni che c’erano. E poi si parla di turismo».
Il giudice Vincenzo Macrì, in una recente intervista, ha parlato di sovranità della mafia e di una regione fuori controllo.
«Io non condivido questa lettura apodittica, tutta improntata al pessimismo. Andrei anche contro lo spirito del Vangelo se condividessi questa analisi. Non è vero, insomma, che comanda la mafia. La criminalità organizzata sfrutta la paura, ma non ha in sé la capacità di vincere.

E l’omicidio di Francesco Fortugno, progettato per umiliare e intimorire, si è già trasformato in un atto che denuncia debolezza, in un autogol».

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