Vettel pole, Ferrari che delusione E Senna jr sorprende la Formula 1

La pole fra le Ardenne è di Vettel, l’ennesima. Che noia. La Red Bull si beve anche questa qualifica e fanno dodici, cioè tutte. Che noia. La Ferrari, Silverstone a parte, continua a fare i conti con una discreta dose di iella. Anche ieri asfalto umido e freddo nel Q3 et voilà: soliti problemi a mandare in temperatura le soft (medium l’altra mescola) per cui Massa quarto a 2 secondi, di nuovo davanti ad Alonso come in Ungheria un mese fa, e Fernando addirittura ottavo a tre. Colpa anche e soprattutto del traffico: «Il nostro potenziale non è questo, potevo essere nelle prime due file, ma certo non lottare per la pole... ho trovato molto traffico, Perez mi ha rallentato un paio di volte» dirà lo spagnolo. Per poi aggiungere: «In gara lotterò per il podio». Frase figlia non della disperazione, ma di un sacrosanto ragionamento: per oggi è attesa corsa asciutta, nel Gp le Rosse vanno sempre meglio e chissà che negli assetti di ieri ci fosse qualcosa per oggi... Si sorride e si piange invece in casa McLaren: perché Hamilton è secondo con auto ammaccata nel q2 causa kamikaze Maldonando «mi è venuto addosso, non so se l’ha fatto apposta» dirà Lewis, e perché Button mago della pioggia scatterà 13° per un misunderstandig - dicono lo loro - un pasticciaccio - diciamo noi - via radio: in q2 pilota e box non si sono capiti e il ragazzo ha rallentato troppo perdendo il tempo per un ultimo decisivo giro.
Se la pole fra le Ardenne racconta di prime file ripetitive e noiose, se registra un paio di autoscontri (c’è anche il brutto botto senza conseguenze di Sutil all’Eau Rouge), va però detto che il sabato fra i boschi ha il merito di aver riportato alla ribalta due cognomi su cui ancor oggi si regge la stessa F1: Senna e Schumacher. Fra l’altro, per due motivi opposti. Il primo per un’impresa: al ridebutto, pronti e via, su pista fradicia e traditrice, si è messo dietro il più esperto compagno di team Petrov e, giusto per non farsi mancare nulla, anche la Ferrari di Alonso. Scatterà settimo. Il secondo, Michael, pronti e via e nel giorno del ventesimo anno dall’esordio si è trovato su tre ruote. Ma andiamo con ordine. Bruno Senna, nipote del grande campione brasiliano, è arrivato nel Circus con tatuato in fronte il marchio di pilota con la valigia, per di più reo di sostituire in Renault quel simpaticone a tutto tondo di Nick Heidfeld. Quest’ultimo, un pilota dignitoso, ma dignitosamente a fine carriera. Valigia a parte, Bruno meritava la chance di guidare finalmente una buona macchina («so che si dice che porto soldi, ma non vedo nuovi sponsor miei sulla macchina, non è questo il motivo per cui mi hanno scelto, credono in me... poi, certo, è ovvio che per un team ci sia un grande potenziale commerciale legato al mio nome...»). L’anno scorso aveva guidato l’Hispania Racing, come dire che non aveva praticamente corso. Non solo. In F1 ci è arrivato a quasi trent’anni - è un classe ’83 - perché la famiglia, mamma Viviane, sorella di Ayrton, gli ha sempre impedito di correre, cedendo solo quando il ragazzo aveva ormai quasi vent’anni. Cioè: Bruno non è un pilota robottino nato sui kart a 4 anni come tutti gli altri. E poi meritava la grande occasione perché nel 2009, quando Ross Brawn rilevò la Honda e mise in piedi il team che quell’anno avrebbe poi vinto il mondiale, al posto di Barrichello accanto a Button, che poi vinse il titolo, ci doveva essere proprio Bruno («ci rimasi malissimo, Brawn disdisse tutto il giorno prima della firma»). Quanto a Schumi, più avanza il processo di umanizzazione del kaiser delle piste, più diventa simpatico. Ieri, ad inizio Q1 è entrato in pista tronfio e tempo qualche secondo ha perso la ruota posteriore destra.

Dirà: «Per un giorno come questo avrei desiderato qualcosa di diverso... ma è troppo difficile guidare su tre ruote... anche se a Spa dovrei avere l’esperienza per farlo». Ci ha vinto sei volte. Altri tempi. Oggi partirà ultimo.

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