Milano - Sotto il cappello che non si leva mai, evidentemente, qualcosa è cambiato. Lui è pronto a giurar di no, eppure qualche idea personale sui cantautori degli anni Settanta non è più quella di prima. E la spiegazione ci mette poco ad arrivare, scandita nel solito placido bolognese, e avvalendosi del benefico effetto del passare del tempo. Luca Carboni spiega perché - nell'anno domini 2009, a trent'anni circa di distanza dai primi passi della sua «rivoluzione personale» per un nuovo modo di essere cantautore - ha deciso di sfornare un album tutto dedicato agli illustri colleghi che, nel decennio difficile dei '70, lo hanno preceduto.
Nel cd Musiche ribelli - in uscita oggi su etichetta Sony, co-prodotto dall'artista insieme a Riccardo Sinigallia: 10 canzoni per 9 artisti rivisitati, da Guccini a De Gregori, passando per Battiato e Dalla - Carboni si dedica a una rilettura personale di alcuni brani, significativi e non necessariamente «maggiori», di alcuni grandi cantautori che un tempo si amava definire «impegnati». Quelli, cioè, armati di liriche pensose e rigore ideologico. Quelli che lui, il Carboni, non ha mai assunto come punto di riferimento ma, racconta oggi l’artista bolognese, ha ascoltato sempre, e in modo potremmo dire «omeopatico», dai propri fratelli maggiori in quella Bologna anni ’70 dove le note di Francesco Guccini, Edoardo Bennato, Francesco De Gregori, Claudio Lolli, Eugenio Finardi, Lucio Dalla e tanti altri riempivano camere tappezzate di poster e di sogni giovanili.
«Da un po’ di tempo avevo l’idea nel cassetto - spiega l'autore di Farfallina e Ci vuole un fisico bestiale -. Si tratta di un omaggio ad artisti che considero voci familiari, autori che mi sono arrivati addosso dai miei fratelli. Io studiavo pianoforte classico, ero ancora piccolo, e loro ascoltavano i cantautori, Guccini e De André soprattutto. Grazie a loro ho capito che la musica non era solo un’insieme di note, ma che la parola aveva uno straordinario potere. Certo, poi sarebbero arrivati i miei sogni diversi, più rock, addirittura punk. Ma quella cosa dell’importanza della parola mi è rimasta dentro».
Il tempo, poi, ha fatto il resto: «Sì, a riguardarle oggi, quelle canzoni si rivelano estremamente attuali e, se possibile ancora più ribelli, di rottura. Perché in quel decennio, in quel periodo politico, bisogna anche dire che tutto risuonava più dovuto, più omologato». E quali sono quelle canzoni con cui Luca Carboni, per dirla così, fa la pace?
Basta scorrere la tracklist: sono brani come Ho visto anche degli zingari felici di Claudio Lolli, Raggio di sole e La casa di Hilde di Francesco De Gregori, Eppure soffia di Pierangelo Bertoli, Musica ribelle di Eugenio Finardi, ma anche, impreviste, Up Patriots To Arm di Franco Battiato e Venderò di Edoardo Bennato. Per non parlare di una scelta ardita e a rischio: L’avvelenata di Francesco Guccini. «Gliel’ho fatta sentire - confida Carboni - e lui ha semplicemente detto, nel suo bolognese: be’, mi piace. Per me conta questo». Tante le canzoni escluse, «perché non riuscivo a rispettarle, a renderle come volevo io», ammette Carboni: «Lo Shampoo di Gaber e Bomba o non bomba di Venditti, ad esempio. E De André: troppo difficile maneggiare canzoni cui solo lui sapeva dar vita. Ho visto la serata in suo onore su Raitre e, be’, ascoltando tanti colleghi zoppicare nel ricantarlo, mi sono dato ragione della scelta di escludere suoi brani dal progetto».
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