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«Vi racconto la vita fragile dei “bambini farfalla”»

Alcuni non possono neppure assaggiare il pane, altri non possono essere abbracciati da mamma e papà, non possono giocare, non possono dormire sotto le lenzuola. Altri ancora non possono vivere e se ne vanno in preda a dolori atroci. «Come Iacopo – ricorda Luna Berlusconi –, nato a maggio scorso e volato in cielo solo due mesi dopo, per le ferite provocate dal parto. Lui è l’angelo farfalla che mi è rimasto nel cuore ma, se per lui non c’è stato nulla da fare, si può ancora combattere per garantire una vita normale a tutti quelli che lottano contro questa malattia».
Ci spieghi di che si tratta.
«È una malattia genetica, a molti ancora sconosciuta. Si chiama epidermolisi bollosa, detta anche sindrome dei bambini farfalla perché rende la pelle e le mucose fragili come le ali di una farfalla».
Perché se ne occupa così attivamente?
«Sono affetta anch’io da questa sindrome, sia pure in forma lieve e anche mia figlia Rebecca lo è, gliel’ho trasmessa io».
Si sente in colpa?
«Mi sono sentita in colpa. In passato. Soprattutto quando era molto piccola e dovevo bucarle le bolle mentre piangeva. Erano sensi di colpa che solo una madre che mette al mondo un figlio può avere: lei ha ereditato qualcosa da me che non avrei mai voluto trasmetterle».
Dunque Luna, anche lei soffre di questa sindrome.
«Per fortuna in forma lieve. Però fino all’adolescenza ho sofferto molto. Poi la mia pelle si è indurita e ora posso dire di avere soltanto la pelle molto delicata».
E quando ha scoperto di essere malata?
«È stata mia madre, anche lei affetta da questa sindrome, a scoprirlo. Io avevo due giorni, piangevo come una disperata. Poi mi hanno tolto i calzini e hanno trovato bolle enormi piene di sangue».
Come ha convissuto con questo handicap?
«Quando mi facevo male avevo dei grossi problemi a farmi medicare, ogni cerotto era una sofferenza. Evitavo il pronto soccorso perché spesso i medici non conoscevano questa sindrome e pensavano che avessi solo la pelle delicata: ma lo strappo di un cerotto mi provocava una piaga».
Per quanto è durato il suo calvario?
«Fino ai 15 anni, io avevo voglia di fare sport, mi spellavo facilmente appena sbattevo contro qualsiasi superficie dura. Ma mi sono consolata quando ho conosciuto la realtà più cruda di questa malattia».
Com’è entrata in contatto con questo mondo?
«Ho partecipato ad un convegno sulla epidermolisi e ho conosciuto una realtà di malformazioni dovute alle continue cicatrizzazioni. Poi ho scoperto Debra, l’associazione che accomuna gli 850 casi conclamati in Italia e ho deciso di scendere in campo».
In che modo?
«Diventando ambasciatrice dei bambini farfalla. Cerco di raccogliere fondi per la ricerca assieme a mia madre che lavora sull’aspetto legislativo della ricerca, ancora molto mortificata e limitata in questo settore».
Ci sono ricercatori che si occupano di questa malattia?
«C’è il professor De Luca che ha già sperimentato un trapianto di pelle usando cellule staminali adulte».
E funziona?
«Sì, funziona. Claudio, un ragazzo di 36 anni, è stato operato a Modena e la sua pelle sulle cosce è perfettamente sana. Ora dovrà subire un intervento sulla schiena e sui polpacci. Ma sono operazioni molto delicate e molto costose».
E mancano i fondi.
«Esatto. Gli italiani sono molto generosi ma le donazioni vanno spesso alle grandi associazioni».
Per diffidenza?
«Sicuramente, il nome conosciuto è una garanzia. E devo ammettere che fino all’anno scorso l’associazione Debra era pressoché sconosciuta.

Così ho deciso di spendere il mio nome per fare del bene e per far sapere alla gente che una malattia rara come questa può provocare la morte di un bambino».

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