Non sarà più il campionato italiano a tappe, con nove dei nostri nei primi otto della classifica: sabato, da Palermo, parte il Giro più internazionale, cosmopolita e poliglotta che la storia contemporanea ricordi. A rendere lo spettacolo così poco provinciale, così bene assortito, così mirabilmente multietnico, concorre pesantemente anche la clamorosa iscrizione dell'ultima ora. Con abile colpo diplomatico del patron Zomegnan, il Giro si è assicurato la presenza dell'Astana, che al grande pubblico degli orecchianti dice giustamente poco, ma che nella realtà delle cose è il mega-team parastatale di un'economia emergente, quella del Kazakistan, nazione magari a noi ancora un poco oscura, ma intenzionata a diventare nel giro di vent'anni una delle prime produttrici di petrolio al mondo (e sottolineo la parola petrolio). Da qualche anno, il governo investe parecchi euro nel team ciclistico, che non a caso porta il nome della capitale. Il marchio Astana, però, è legato sinora a un disastro: l'anno scorso, con una raffica di scandali doping, griffati soprattutto dal big locale Vinokourov, ha praticamente affossato la festa del Tour. Disastro talmente eclatante, che i francesi quest'anno non rivogliono in corsa il team, a costo di lasciare fuori persino la maglia gialla in carica, lo spagnolo Contador, ora accasato proprio Astana.
Dice: perché il Giro allora si prende lo squadrone tanto discusso? La risposta è di una semplicità elementare: perché l'Astana ha proceduto ad una colossale disinfestazione ambientale. Via i diesse, via i corridori, via i massaggiatori. Ora, tutto nuovo. A partire dal tecnico, quel Bruynell che ha guidato Armstrong nella vittoria di sette Tour.
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