In viaggio coi soccorritori: cucine, brande e docce per aiutare chi non ha nulla

Dalla Lombardia all’Abruzzo con un piccolo "esercito" di 80 volontari della Protezione civile. Prima è allestito il campo base, poi vengono smistati i beni di prima necessità

In viaggio coi soccorritori: cucine, brande e docce per aiutare chi non ha nulla

nostro inviato all’Aquila

La prima cosa che ti dicono è che in questi casi bisogna essere autonomi. In tutto e per tutto. È su questo che si basa il concetto dell’assistenza. «Altrimenti come si fa ad aiutare chi ha perso tutto se tu per primo non sei autosufficiente?». La seconda cosa che ti ripetono è che è una questione di Dna. O ce l’hai nel sangue o non riesci a fare questo mestiere. «È come una vocazione, capisci. Devi essere sempre pronto a partire». Milano-L’Aquila in viaggio con i volontari della protezione civile della Regione Lombardia. Un pomeriggio e una notte per raggiungere il luogo della tragedia, dove ieri mattina un terremoto ha messo in ginocchio l’Abruzzo. Che ha distrutto, sventrato le case e i palazzi, seppellito centinaia di vite umane.
Sono le 15.30 quando la prima colonna mobile degli aiuti si muove dal Centro polifunzionale emergenza di Legnano. Trenta mezzi tra quelli del personale sanitario del 118 di Milano Niguarda, i volontari dell’Anpas, dell’Associazione nazionale alpini e del Parco del Ticino. E poi ancora gli ex tecnici dell’Aem e dell’a2a, esperti per l’acqua e l’elettricità. Un contingente di 80 uomini circa, la metà volontari. Ci portiamo dietro tre container con i gabinetti, le docce, le cucine, le brande. Ogni reparto ha il suo materiale, una piccola casa agganciata alle auto e ai camion. «Pensa un po’, queste brandine le avevamo portate qui qualche giorno fa - spiega Dario della Protezione civile lombarda -. Chi l’avrebbe mai immaginato che sarebbero servite oggi». Già chi l’avrebbe mai detto. «Tutto quello che ci portiamo dietro servirà per allestire il campo appena arrivati», spiegano altri volontari. Il loro campo, per intenderci, che in un primo momento farà da base logistica. «Un pronto soccorso di primo livello in termini tecnici - dice Valerio Zucchelli, coordinatore Anpas Lombardia -. Poi allestiremo le tendopoli per gli sfollati». Settantamila secondo l’ultimo bilancio che ascoltiamo alla radio, mentre il numero dei morti continua ad aumentare. Quando la voce del giornalista aggiorna l’ultimo bilancio delle vittime, dicendo che sono più di cento, Valerio si volta verso i suoi ragazzi. Li guarda e dice sottovoce: «Saranno almeno il doppio. È un numero che è destinato a salire esponenzialmente».
Lui, di terremoti ne ha visti e vissuti parecchi. L’ultimo quello a Nocera Umbra e prima quello in Irpinia. Sa cosa vuol dire trovarsi in quelle condizioni. Fa un’ultima telefonata al cellulare per assicurarsi che anche tutte le altre unità ci stiano seguendo e inizia a raccontare. «In Irpinia è stato drammatico. A Nocera, ricordo che eravamo in un capannone, stavamo smistando gli aiuti umanitari e a un certo punto ci siamo guardati con gli altri ragazzi e siamo saltati fuori». Il terremoto era tornato. «Non ti puoi mai fidare che sia finito. Il sisma più forte butta giù le strutture, ma poi arrivano le scosse i giorni successivi che fanno ulteriori danni». Perché il terremoto è come un ladro: arriva quando meno te lo aspetti e ti porta via quello che hai di più caro. Senza lasciare più nulla. Massimo ha solo 23 anni e da sei fa il volontario all’Associazione nazionale alpini. È la prima volta che lo chiamano per una maxi emergenza. Si è infilato la divisa ed è partito. Come Ennio. Lui di professione fa impianti elettrici. «Ero da un cliente quando ho ricevuto la telefonata. Ho detto, vado e torno subito. E invece eccomi qui». «Ormai dopo 15 anni che faccio il volontario in emergenza, sono abituato. La famiglia ci ha fatto il callo. Questa volta mi ha persino preparato la borsa per partire. Sarà un brutto segno», dice ridendo.
Sono le otto passate e nella piazzola dell’autogrill incrociamo anche i mezzi dell’esercito. Uno, due, tre camion. Scenderanno anche loro con noi.

Abbiamo ancora cinque o sei ore di tragitto, prima di arrivare a destinazione. Ci rimettiamo in viaggio. Un bambino ci vede e si avvicina. Ci guarda con aria emozionata. «Buona fortuna per quello che andate a fare. Buona fortuna». Già, ne avremo proprio bisogno.

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