Un viaggio nell'ade che "parte" da Roma

I personaggi principali sono profili indefiniti, la voce narrante è Fabio, che con la sorella Lara, non crede alla morte del padre

Un viaggio nell'ade che "parte" da Roma
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La romanità già nel titolo si apre ad affreschi così leggeri, così aperti, in cui la scrittura albeggia sempre sullo sfondo amato visibilmente, pittoricamente, talvolta alcuni periodi sono facili come pennellate sulla città eterna. Finestre spalancate linguisticamente, prive di torsioni di stile o manieristiche (una pretenziosità letteraria le potrebbe proporre), malgrado il romanzo di Piero Salabè, Mortacci mia, appena uscito per La nave di Teseo (pagg. 380, euro 20), sia una discesa nell'Ade dei dimenticati. Dunque sarebbe perlopiù un attraversamento in teoria tenebroso alla ricerca di un padre, certo luminare, Pintor, sparito nel Policlinico in cui lavorava e in cui era ricoverato nei giorni della senilità e della malattia. L'avvenimento riunisce la famiglia. I figli. Torna la Roma dell'adolescenza, le ombrature dorate dei pomeriggi in un parco capitolino. I personaggi principali sono profili indefiniti, la voce narrante è Fabio, che con la sorella Lara, non crede alla morte del padre. La ricerca amorosa e ossessiva a tratti o ostinata affronta questa mirabile discesa nelle ombre dell'animo umano, cliché non sempre argomentato, ma Salabè lo rende suggestivo, credibile, persino nostalgico.

Attraversano un fiume sepolcrale, il fiume dell'umanità ferita. Mostruosamente tradotta o restituita dalle pagine di Salabé. Pagine visionarie o iperrealiste o oniriche. Il punto non è questo. È un sentiero della memoria che si dispiega. Interroga per certi versi ognuno di noi, quanto vi abbiamo lasciato o perduto, percorrendolo. Taluni intro diventano questioni esistenziali che non esauriscono un bel nulla. Ma chiedono, chiedono, voraci, chiedono udienza o in extrema ratio un diniego pietoso: «La morte non esiste, l'hanno inventata gli adulti per farci paura». Il viaggio. Sembra di entrare nella verna, alle prese con golem ora dispettosi ora vestiti di una commozione trasognata. Non gironi danteschi, ma labirinti illuminati con chiarori purgatoriali. È in fondo un ri-racconto con in seno l'ambizione di un riscatto salvifico, un'allegoria con un bel destino: quelli fuori la porta, i disturbatori, i mal riusciti, tornare alla luce, perdonati.

Pierò Salabè è un germanista, ispanista, romano, classe 1970 si occupa di letteratura e editoria da molti anni, vive a Monaco di Baviera. Un felice ritorno con La nave di Teseo, con un romanzo definito già poetico, debordante di poesia in alcuni affondi, straniati, come i personaggi che incontrano il lettore, in una attesa malinconica.

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