Vini e vitigni a 2.760 metri È la cantina più alta del mondo

Vini e vitigni a 2.760 metri È la cantina più alta del mondo

Barbara Silbe

Le strade del vino portano ora in alta quota, dove l’aria è più fine, dove sapori e profumi sono esaltati, dove tutto acquista carattere e intensità, noi compresi. Le strade dell’enogastronomia valtellinese salgono da oggi al Passo dello Stelvio, a 2.760 metri di altitudine, tra vette possenti e nevi incombenti, tra silenzi e spazi selvaggi dove la wilderness domina ancora sull’uomo, nonostante tutto. Grazie a un’idea della Banca Popolare di Sondrio nasce il primo centro di affinamento del vino più alto del mondo, presentato nella giornata di ieri durante la manifestazione «Valtellina: un concerto di sapori». Un’iniziativa per rispondere ad una semplice domanda: ma è poi vero che il vino in quota migliora? La rarefazione dell’aria fa bene a tutti e a tutto, ma non è mai stato provato scientificamente che anche il vino possa trarre beneficio da una conservazione avvenuta così. Così, sono stati interpellati esperti del settore e ogni anno, per i prossimi dieci, un’apposita commissione effettuerà due degustazioni, a maggio e ottobre, per verificare come procede la maturazione del prodotto e confrontarlo, a parità di etichetta, con quello stoccato a fondovalle.
La Valtellina, che già nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci era definita «valle circondata da alti e terribili monti, fa vini potenti ed assai», vanta radici vitivinicole antichissime che risalgono ai celto-liguri, i quali appresero le tecniche di coltivazione addirittura dagli etruschi. Dal fiume Adda fino alla Punta Perrucchetti, nell’agricoltura della provincia la vite costituisce da sempre una costante e la sua coltura ha assunto nei secoli un ruolo determinante, modificando il paesaggio antropizzato e condizionando la vita economica e sociale dei suoi abitanti. Gli storici rossi locali docg (il Grumello, l’Inferno e il più ambito e particolare Sforzato, per citarne alcuni), sono ottenuti da vitigni di montagna da una varietà di nebbiolo tipica del luogo, la chiavennasca, termine che deriverebbe dalla voce locale «ciù venasca», ossia più adatta a fare vino.
E nella giornata di ieri, una grande festa dei monti ideata dal Consorzio di tutela dei formaggi Bitto e Casera e che ha visto la partecipazione di molti enti e consorzi della Valle, della Camera di Commercio di Sondrio, dell’Ana, del Parco dello Stelvio e di Pirovano, l’università dello sci - durante la quale sono stati invitati anche i vicini consorzi del Trentino Alto Adige e della Svizzera - è stato ufficialmente inaugurato un singolarissimo programma decennale. Si è costituita un’atipica banca del vino, che non avrà scopi di commercializzazione come quella del borgo di Pollenzo (Bra, Piemonte), ma piuttosto di studio scientifico e di affinamento dei rossi valtellinesi e non, in una cantina posta a tremila metri sul livello del mare dove si prevede di dare ospitalità proprio a tutti. «Il nuovo spazio - racconta Casimiro Maule, presidente del Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina - ospiterà per ora 450 bottiglie, per un totale di quindici vini importanti, trenta per ogni tipo. L’unica condizione fondamentale è che la temperatura della cantina non deve mai scendere sottozero, per non rischiare danneggiamenti del prodotto e un cittadino di Bormio si è già offerto di coibentare il locale per un migliore isolamento. Non verranno però assegnati punteggi - prosegue Maule - non ci sono invidie o gare di sorta.

Solo un attento lavoro d'equipe all’insegna della qualità e dell’entusiasmo. E gli invitati elvetici, trentini e altoatesini - conclude - hanno già detto che metteranno a disposizione i migliori prodotti della loro gastronomia».

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