«La violenza in campo? Colpa degli arbitri»

Totti, ultima «vittima» italiana: «Lo ripeto da tempo, dobbiamo essere più tutelati»

Roberto Bonizzi

Botte da orbi. Entrate a forbice, ginocchiate sulla testa del portiere in uscita, gomitate malandrine nei contrasti, piedi a martello, gamba tesa. Il calcio moderno, che stritola svolazzi e giocate con velocità, ritmo e fisico, assomiglia sempre di più a un Rollerball impazzito. L’ultimo della lista è Petr Cech, portiere ceco del Chelsea. In Italia nessuno ha dimenticato la torsione innaturale della caviglia di Francesco Totti, i tacchetti affondati nel terreno dell’Olimpico, i legamenti che saltano, le ossa che si rompono, la smorfia di dolore. «Bisogna sempre che succeda qualcosa per accorgersi dei problemi - butta lì il capitano romanista dopo l’ennesimo incidente di gioco -. Mi batto da tempo su questo tema, i giocatori vanno tutelati. Ma dirlo non serve a niente, poche settimane prima dell’infortunio io avevo chiesto pubblicamente maggiore protezione per le gambe dei talenti». E nessuno ha dimenticato com’è andata a finire.
Dopo la ginocchiata dell’attaccante del Reading Stephen Hunt, Cech è ancora ricoverato nel reparto di neurochirurgia del Radcliff Infirmary di Oxford. I tempi della sua guarigione e del completo recupero si annunciano lunghi. «Mio figlio potrebbe non giocare a calcio per un anno - racconta Vaclav Cech, padre del portiere ceco -. All’inizio non avevo capito quanto fosse grave. Quando ho sentito la diagnosi mi sono tremate le gambe. Non potevo credere alle mie orecchie». Tutta la Premiership è sotto choc. Didier Drogba, attaccante ivoriano del Chelsea, parla dello scontro che ha visto sabato sul terreno del Reading: «Non raccontatemi favole, non è stato un incidente. Hunt si era accorto che stava per scontrarsi con Petr e non ha fatto nulla per evitarlo. Ma il peggio è arrivato dopo, mentre Petr veniva portato fuori dal terreno di gioco, Hunt stava ridendo...» confermando il particolare già rivelato dall’allenatore dei blues José Mourinho dopo il match.
«Ho paura che prima o poi un portiere possa restare ucciso». L’allarme arriva da Arsene Wenger, tecnico francese dell’Arsenal. Negli ultimi sei mesi, infatti, hanno avuto conseguenze fisiche dopo scontri di gioco diversi portieri del campionato inglese. Cech sabato, insieme al suo secondo Carlo Cudicini. Il tedesco dei gunners Jens Lehmann, l’irlandese Shay Given del Newcastle e l’australiano Mark Schwarzer del Middlesbrough. «Spero che quello occorso a Cech sia solo un incidente - dice Wenger -. Non posso credere che un giocatore cerchi deliberatamente di colpire alla testa un avversario, perché c’è la consapevolezza di poterlo uccidere. Sarebbe un gesto criminale».
Anche il calcio italiano è costretto a fare i conti con l’impennata di violenza sui campi. «Secondo me il calcio se non ha una determinata componente fisica perde di spettacolo - sostiene Luciano Spalletti, allenatore della Roma -. Ma lo spingersi oltre in un contrasto è diverso da quello che prevederebbe il nostro lavoro di calciatori». Parla di limite anche il capitano interista Javier Zanetti: «Il calcio è maschio, ma deve prevalere la lealtà. Dobbiamo offrire spettacolo alla gente che viene a vederci. Ma bisogna fermarsi a questo, non andare oltre, altrimenti nascono situazioni negative che danneggiano lo sport».
Il problema, però, sta nei controllori. Se gli arbitri usassero un metro molto severo, si vedrebbe meno gioco violento. L’equazione è semplice, quasi banale, ma è quella pretesa dalla Fifa ai mondiali. «Quando si cambiano le regole si chiede sempre maggiore severità - è l’analisi di Roberto Mancini, allenatore dell’Inter -.

Ma bisognerebbe stare meno attenti alle parole e alle frasi dei giocatori sul campo, sanzionando maggiormente i brutti falli che possono costare la carriera a un calciatore. Ultimamente ho visto falli incredibili non puniti. Un esempio? L’intervento di Schweinsteiger su Figo in Inter-Bayern. Era da rosso diretto, nemmeno ammonito...».

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