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Violenza islamica in Inghilterra: vittime ogni anno 17mila donne

Rifiuta di dimettersi l’arcivescovo anglicano che aveva definito «inevitabile» la «sharia» in Gran Bretagna

da Londra

Rapite e costrette a sposarsi con un estraneo. Oppure stuprate, torturate, se non addirittura brutalmente uccise dai loro stessi familiari. Secondo gli ultimi dati forniti ieri dall’Association of Chief Police Officers, sono più di 17mila le donne che in Gran Bretagna subiscono violenze di ogni tipo per una questione «d’onore». Un esercito di vittime senza più volto né nome che molto spesso non sono neppure donne adulte, ma adolescenti e bambine, trattate come merce di scambio, figlie di un dio minore. Un popolo di femmine che non hanno più alcun valore nel momento in cui non vogliono prendere marito o vengono ripudiate o peggio ancora si rifiutano di obbedire al volere di padri, fratelli, mariti. Le loro madri vengono dal Bangladesh, dall’India o dal Pakistan, ma molte di loro sono nate e cresciute in Gran Bretagna, alcune sono inglesi sposate a un musulmano. I casi più gravi riguardano bimbe di solo undici anni spedite all’estero per matrimoni combinati. E una percentuale del 15% coinvolge anche uomini e ragazzini. Le cifre ufficiali relative ai matrimoni forzati sono molto più basse, ma secondo la stessa polizia quei numeri sono soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno assai più drammatico e sfuggente.
E la crisi è ormai così devastante da aver indotto il ministero degli Esteri e del Commonwealth a chiedere un intervento diretto dello staff consolare britannico in Pakistan, India e Bangladesh per individuare e offrire concreto supporto a tutte quelle donne con cittadinanza inglese che denunceranno di essere state costrette a sposarsi. Un’azione senza precedenti che prende corpo proprio mentre nel Regno Unito infuriano le polemiche sulle scomode dichiarazioni dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams sulla «inevitabilità» della sharia in Gran Bretagna. Williams, accusato dai media di codardia e anche di tacito supporto al terrorismo islamico, ha ricevuto il sostegno di alcuni vescovi e ha detto di non avere alcuna intenzione di dimettersi.
Allo stesso tempo il ministero degli Interni sta mettendo a punto un piano che si prefigge di migliorare la risposta delle forze di polizia e alle richieste di soccorso e che, soprattutto, incoraggi le vittime a farsi avanti offrendo loro la garanzia che verranno aiutate e protette. Perché fino a ora denunciare è stato difficile e moltissime volte chi lo ha fatto non è stata presa sul serio oppure è scomparsa ancor prima di poter rendere una testimonianza. Molte di loro hanno preferito togliersi la vita piuttosto che affrontare un futuro di abusi. «Noi lavoriamo su un dato certo di 500 casi denunciati all’anno – ha spiegato il comandante Steve Allen, capo dell’unità per le violenze d’onore – ma sappiamo che generalmente ogni vittima subisce violenza domestica per almeno 35 volte prima di venire da noi». Un’affermazione inquietante che trova però conferma anche nelle parole di Marilyn Mornington, giudice distrettuale e a capo del Domestic violence working group secondo la quale la maggioranza delle donne maltrattate sono troppo terrorizzate per chiedere aiuto. «Attualmente riportiamo indietro ogni settimana da Islamabad almeno tre ragazzine – ha detto all’Independent – ma certo bisogna fare di più. Bisogna educare le comunità e le famiglie».

Lo scorso anno in Gran Bretagna, l’unità governativa per i matrimoni forzati è riuscita a risolvere felicemente almeno 400 casi anche grazie all’aiuto delle diverse ambasciate tra cui quella italiana.

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