U na sottile linea rossa. O di qua o di là. Spesso sia di qua che di là. Almeno all'apparenza. Il rap è violento? Sì. Incita alla violenza? Talvolta. E spesso in modo inconsapevole perché, nell'era dei linguaggi metafisici, i codici espressivi che un sottogruppo sociale (ad esempio i rapper) ritiene inoffensivi rischiano di diventare intollerabili per altri. Parafrasando la Fallaci, il rap non è violenza ma (quasi) tutti i violenti musicali sono rapper. «Non te l'hanno detto che il rap è uno sport violento?» recita d'altronde il claim del nuovo disco di Marracash, che però poi ha precisato: «Il rap che mi piace non fa rima con violenza». Per carità, non generalizziamo: la violenza non è solo l'apologia della mano armata, è anche scelta di linguaggio o di contesti, spesso solo ideali o addirittura utopistici.
D'altronde la storia del genere parla chiaro: circa quarant'anni fa è stato battezzato negli States come colonna sonora della fuga dai ghetti e fuggendo non si va tanto per il sottile. Usciti dai ghetti, crivellati i corpi di Tupac e Notorius B.I.G, nelle rime rap sono rimasti i toni intolleranti, spesso parodistici quindi inoffensivi. Ma la matrice si è plasmata all'occorrenza, declinando il rap come linguaggio globalmusicale dell'intolleranza.
La climax è stata quando è venuto fuori che Chérif Kouachi, un killer di Charlie Hebdo , era un rapper proprio come l'inglese Abdel-Majed presunto carnefice dell'ostaggio James Foley e che in Italia lo scalcagnato Amir Issa auspica il putiferio in Ius Music («Da Palermo a Torino scoppierà un casino») con tanto di partecipazione al suo video di un deputato Pd, Khalid Chauki. Ovvio che siano eccezioni slabbrate, frutto di degenerazione propagandistica (il nuovo jihad è più abile dei talebani a sfruttare la musica) e, soprattutto, dell'oggettiva adattabilità delle rime rap a qualsiasi matrice, anche alle più intolleranti. In Italia, sia chiaro, il percorso è stato nettamente diverso, salvo microscopiche eccezioni. Ma dal rimare libero e innovativo del Frankie Hi Nrg di fine anni Novanta, si è passati alla frontalità spesso truce di Fabri Fibra, autentico spartiacque del rap di casa nostra. Duro, durissimo. Il suo linguaggio, fotografia luminosa di un intero substrato socioculturale, sgocciola in rigagnoli difficili da comprendere, specialmente se estrapolati: «Giro in casa con in mano questo uncino, ti ci strappo le ovaie e che cazzo me le cucino!» (da Venerdì 17 ). L'esegesi del testo non distilla violenza. Invece il testo da solo sì, anche soltanto nella scelta delle metafore o delle parole. Per qualcuno, spesso per molti, è solo la strategia «a occhio di bue», mirata ossia a entrare nel centro dell'attenzione costi quel che costi. Ma sarebbe troppo semplicistico. Fibra, come tutti i rapper con i carati, è lo specchio a-retorico di ciò che lo (ci) circonda, non è la scintilla che lo illumina. Riflette, non genera. È insomma, mutatis mutandis , il paradosso della musica popolare dai tempi di I shot a man in Reno di Johnny Cash mezzo secolo fa («Ho ucciso un uomo a Reno solo per vederlo morire») con la differenza che oggi il linguaggio pop è molto più pervasivo e onnivoro. È dappertutto, a ogni età. E, a differenza di quanto cantavano Cash o Neil Young in Down by the river («Giù al fiume, ho ammazzato la mia bambina»), la frontiera di demarcazione è molto meno netta e assai più equivocabile: loro cantavano fantasmi e ossessioni e paure dalle quali volevano fuggire. I rapper sono cronisti e il cronista racconta la realtà come la vede e nella quale si immerge. E i toni sono sempre eccessivi, spesso violenti. Persino quando sono pacifici, come nel caso di Ylenia Coppola, 17 anni, in arte Ylen, che canta No alla violenza con rime aggressive. L'aderenza del messaggio al destinatario e non al mittente è una delle chiavi di lettura del rap quando si fa serio.
Altrimenti tutt'al più sconfina nella gratuità goliardica o nell'apologia distaccata dei luoghi comuni come fa Gué Pequeno dei Club Dogo in Merda in testa : «Frate, la tua tipa è multi-cazzi/ Sì vero è troppo impegnata, non c'ha un buco libero». Ma questa, tutt'al più, è aggressione al buon gusto. E, in fondo, in tanti talk show, le stesse volgarità sono mascherate solo molto meglio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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