Filosofo di riferimento della sinistra-Ztl, caro alle intellettuali radical che hanno continuato a coccolarlo anche dopo che erano venute fuori le sue abitudini verso l'altro sesso e le vicissitudini giudiziarie: fino a ieri Leonardo Caffo poteva però continuare a rivendicare la propria innocenza, proclamandosi vittima di accuse ingiuste e di una condanna sbagliata. Ieri il filosofo cambia linea, e davanti ai giudici d'appello chiede di patteggiare la pena: due anni di carcere, la metà secca di quanto inflitto in primo grado. Formalmente, lui dice che non è un'ammissione di colpevolezza. Ma negli accordi che ha sottoposto ai giudici c'è anche l'impegno a affrontare un "percorso psico-educativo in un centro specializzato per uomini autori di violenze". Un bel passo in avanti per un imputato che dopo la prima condanna aveva sostenuto di essere quasi una vittima: "Le violenze psicologiche e le umiliazioni - aveva scritto nel suo ricorso - furono reciproche, anzi da un punto di vista statistico furono maggiori quelle poste in essere" dalla sua compagna e madre di sua figlia, Carola Provenzano, che nel 2022 lo aveva denunciato per una lunga serie di violenze e maltrattamenti. Con i cronisti, Caffo era stato più prosaico: "Ho un'enorme capacità di incassare merda e continuerò a incassarla" aveva spiegato.
Nelle motivazione della condanna di primo grado, i giudici avevano definito il filosofo un "pigmalione moderno" con un "comportamento che denota sempre una volontà manipolatoria", basato su "schemi patriarcali del tutto inaccettabili". La sentenza aveva attribuito a Caffo atteggiamenti "mortificanti e vessatori" sfociati in una violenza che sarebbe il "registro comunicativo" dell'uomo. Ieri davanti al rischio che la Corte d'appello facesse sue queste convinzioni e confermasse la pesante condanna, Caffo ha però deciso di prendere un'altra strada, d'intesa col suo legale Fabio Schembri, cercando di limitare i danni col patteggiamento. "Il mio assistito - ha affermato Schembri - riconosce di aver tenuto un comportamento inadeguato nell'ambito di un rapporto affettivo e si adeguerà a qualsivoglia decisione del giudice". E lui, Caffo: "Sono felice di averla potuta chiudere nel migliore modi possibile stante il fatto che la lotta è stata lunga e faticosa. Qui forse bisogna guardare un interesse superiore che non è quello personale, non è quello dell'ego".
La sua, dice, "non è un'ammissione di colpa", "è un modo per tornare a lavorare e anche a continuare a lavorare su di me. Io ho già iniziato il percorso, questi anni sono stati anni di riflessione". Anni in cui "sono stato massacrato sulla stampa", il suo lavoro è stato "deviato" e la sua credibilità "distrutta".