Il «virus» Ricucci contagia Mediobanca

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Marcello Zacché

da Milano

I numeri prima di tutto: ieri in Borsa è partita la caccia ai titoli della cosiddetta «galassia del nord», il tessuto finanziario del capitalismo italiano. Mediobanca ha chiuso la seduta con un rialzo del 6,2% a 14,7 euro, con scambi pari all’1,8% del capitale. Le Generali hanno invece chiuso a 24,3 euro, il 4,2% in più di venerdì scorso, con quasi l’1,5% del capitale passato di mano. Rcs, la società editrice del Corriere della Sera, ha raggiunto un nuovo massimo di 6,36 euro, con un rialzo dell’1% e il 2,4% del capitale scambiato.
Per Rcs si è trattata della conferma di mani forti impegnate a rastrellare (o a far circolare) le azioni. Stefano Ricucci ha ieri confermato di avere il 13,5% del capitale: un fucile puntato sul patto di sindacato degli azionisti che controllano il 57,5% del capitale.
Ma il fatto nuovo è che il mercato, ora, crede a qualcosa di più. Dopo mesi (Rcs è salita del 50% da inizio anno) sembra che sotto tiro non ci sia più solo via Solferino, ma anche il santuario della finanza di Piazzetta Cuccia e la più importante (se non l’unica) «corporation» finanziaria italiana, quale la compagnia triestina.
Se questo è vero, o se si tratta solo di speculazione di giornata lo si vedrà, a partire da oggi, nelle prossime settimane. Tuttavia è innegabile che quello che sta succedendo alla Rcs ha più di un punto di contatto con Mediobanca e Generali. In sintesi: è lo stesso intreccio di poteri che controlla gli uni e l’altro. È stato lo stesso Marco Tronchetti Provera, socio di controllo della Pirelli, in una recente intervista, a partire da Rcs per poi arrivare a metterla sullo stesso piano di Mediobanca, definendole entrambe «istituzioni». E il mercato ci ha creduto, voltando lo sguardo alla banca d’affari. E, come naturale conseguenza, alle Generali, di cui Mediobanca è il primo azionista con il 14,5%.
Uno scenario che ancora non contiene un’identità precisa dello scalatore, visto che non è chiara quale sia la partita che gioca Ricucci, quali i suoi possibili alleati nella presunta manovra di scardinamento degli equilibri tradizionali. Ma per esempio, se si ipotizza che sulla «navicella» nemica in orbita nella galassia del nord siano imbarcati gli stessi immobiliaristi che hanno tentato la scalata alla Bnl, basterebbe questo a far tremare la city milanese.
I conti sono presto fatti: se Caltagirone e gli altri immobiliaristi (Ricucci, Coppola, Statuto) di Bnl decidessero di monetizzare la loro partecipazione servendola all’Opa del Bilbao, o ancora meglio a una possibile contro-Opa, si ritroverebbero tra le mani 1.700 milioni, di cui 850 di plusvalenza. Una cifra che si arrotonda facilmente a quota 2 miliardi calcolando altre partecipazioni vicine al contropatto Bnl. Una potenza di fuoco che, ai prezzi di ieri, vale il 40% di Rcs.
Ma anche e soprattutto il 18% di Mediobanca, piuttosto che il 7% delle Generali.

In altri termini due avamposti possibili per riprodurre anche là dove non osa nessuno lo stesso modello Rcs, ovvero quello di Bnl. Cioè quello di un contropatto che si propone come alternativa all’attuale controllo. In questo caso un’alternativa all’intero establishment.

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