da Roma
Non si può definire un uomo avventato, Walter Veltroni. Così, quando ha accettato di percorrere la via crucis del Partito democratico, non si è certo dimenticato di coprirsi le spalle. All’esterno, aprendo linee di credito con Bertinotti a sinistra e con Berlusconi a destra. All’interno del Pd, mettendo il suo «body guard» Goffredo Bettini tra sé e la pletora dei nemici che sapeva tramare nell’ombra, pronti a emergere quando l’entusiasmo delle primarie sarebbe scemato. Ciononostante, oggi la situazione è tale, da far sussurrare a uno che suo amico non si è mai dichiarato, Beppe Fioroni: «O Walter si muove o è un uomo politicamente morto».
Il vicesegretario ufficiale del Pd, Dario Franceschini, cerca di allargare il campo dei sospettabili a tal punto da farne perdere ogni traccia, e parla di un misterioso «virus» che girerebbe nel centrosinistra: «il tiro su chi detiene la leadership». Un «virus» che avrebbe fatto ammalare Prodi nel 1998, D’Alema nel 2000, Amato nel 2001, e Rutelli candidato premier. Può darsi, ma il «logoramento» della leadership veltroniana ha una storia tutta sua e sembra piuttosto figlio di un Partito nato sotto una cattiva stella. Frutto di un accordo tra i «potentati» di Ds e Margherita - lo stesso apparato che ha messo Walter sull’Olimpo -, il Pd è ancora lontano da essere quella fusione di anime che la stampa amica vagheggia. Basti considerare le baruffe ogni qualvolta si trattino i diritti civili. E persino la battaglia per un partito di tessere, con un congresso nel quale esse si conteranno, ha visto Veltroni soccombere. Il modello adottato è quello voluto da D’Alema e Marini, ovvero le due anime rappresentative di quei funzionari che in questi anni hanno mandato avanti le baracche di Quercia e Margherita.
Basta questo per additare i due come «untori» di virus anti-veltroniano? Franceschini, già mariniano di ferro, prova a confondere le acque. «D’Alema non c’entra, e comunque non posso fare nomi e cognomi. Perché questo è un gioco che per sua natura non ha mai una firma». Come nell’ «Omicidio sull’Orient Express» ognuno dei «signori delle tessere» brandisce un pugnale? Facile immaginarlo. Ma l’inquietudine che Veltroni vive negli ultimi tempi ha qualche ragione in più. Come ai tempi del sindacato sotto botta, il leader del Pd predica ai suoi: «Manteniamo la calma, non rispondiamo alle provocazioni». La figuraccia sul decreto sicurezza ha peggiorato la situazione, visto che in tanti, soprattutto all’interno del partito, hanno voluto attribuirne la responsabilità al sindaco di Roma. Ma ciò che non è sfuggito, sul Campidoglio, è stato l’incredibile gestione della vicenda in Senato, con un accordo capestro che ha fatto inserire una norma mal scritta e inammissibile con la pretesa di poterla subito dopo cancellare nel passaggio alla Camera. E non è passata inosservata neppure la noncuranza di Romano Prodi, sembrato persino contento dello scivolone su un provvedimento voluto fortemente dal sindaco.
Da tempo è venuto allo scoperto il nodo della doppia premiership. Prodi non ha nessuna intenzione di lasciare che il giovane Walter ponga e disponga le carte sul tavolo di Palazzo Chigi. Stridente il contrasto è emerso sui tentativi di nuova legge elettorale e sulla minaccia di referendum che ormai sia Veltroni che Prodi usano l’uno contro l’altro. Entro gennaio dovrà essere scelto un modello capace di scongiurarli, anche a danno dei cespugli tanto difesi dal premier, altrimenti Walter ha già fatto trapelare che si potrebbe andare alle urne già nel 2008. Uno scenario che dovrebbe mettere in riga Prodi, D’Alema e i tanti nemici annidati nel Pd. Ma il dialogo del leader pd con Berlusconi e Bertinotti non manca di rendere il premier altrettanto sospettoso.
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