Visita sul set Un sequel specchio dei tempi

da Lodi

È nèmesi pura: un piccoletto in giacca e cravatta, abbronzato e detestabile, con la sua ghigna da garantito e le mossette arroganti, pare il neosposo Brunetta, il ministro definito «energumeno tascabile» da Massimo D'Alema. Però è Paolo Rossi, comico anti-Cav che da quando ha smesso di bere, per girare in gran forma Benvenuti al Nord di Luca Miniero (dal 25 gennaio 2012), prodotto da Medusa con Cattleya, somiglia come una goccia d’acqua all’uomo politico. «Ma io sono più alto», protesta l’attore, dopo aver rincorso e minacciato una mamma meridionale (Valentina Lodovini), col suo bambino in braccio: siamo sul set del sequel più attenzionato dell’anno, con i 32 milioni incassati da Benvenuti al Sud e si gira nel cortile d’una cattedrale dei soldi, quelli veri d’una banca disegnata da Renzo Piano, fontana cacofonica annessa (l’acqua piomba con fragore da una conca di metallo all’altra). La scena si ripeterà mille volte, col ventilatore sparavento a simulare l’arrivo di un elicottero, mentre l’antipatico tagliatore di teste Palmisan (Rossi) minaccia querele e mamma Maria protesta.
Di fatto, è un film nel film: Claudio Bisio, che rifà Alberto, direttore delle Poste tutto gorgonzola e precisione, tifa per la sinistra, ma alla corte di re Silvio siede tra Medusa e Mediaset. Se non è questa, la sinergia di cui parla il regista, mentre aborre l’idea del sequel, invocando «il superamento di Benvenuti al Sud, con il Nord e il Sud del paese pronti a collaborare, perché insieme si va meglio»...
Sta di fatto che sarà sfida: stavolta la sceneggiatura di Fabio Bonifacci non è il calco perfetto di Bienvenue chez les Ch’tis, successo francese originale, che rendeva gli effetti comici puntuali: per quella stesura, Massimo Gaudioso vinse un David.
«Il rischio è alto», riconosce Giampaolo Letta, pronto a investire oltre sei milioni nell’impresa, assistita dalla Lombardia Film Commission, con gli abbracci di Formigoni, che ha ospitato la troupe al Pirellone di Milano. Magari, da qui a qualche mese, gli italiani in crisi chiederanno altre risate, altri sghignazzi. E poi c’è l’incubo Totò. Evocato nella scena iniziale del film, col ghisa che ripete «Ghe sé?» e i meridionali in Piazza Duomo, a fare i tonti inurbati, la citazione da Totò, Peppino e la malafemmina appare netta. «Non c’è Totò: conosco la sceneggiatura. Non abbiamo bisogno di Totò: da Arbore a Troisi, di esempi nello Stivale ce n’è a iosa», dissente Bisio, che morde il freno all’idea di un Siani debordante di napoletanità piaciona.
Qui, del resto, l’attore partenopeo fa la parte della vittima, Mattia, trasferito da Castellabate a Milano, dove Giussano, mastino napoletano, «traditore», perché a guardia d’una sede leghista, lo morderà. Senza contare che il postino del Sud scambia il sashimi («A Milano nessuno mangia ossobuco o cotolette, ma solo sushi», dice Siani) per un invito a uscire: «ascìmm» («usciamo», in napoletano).

È il trionfo della gag dialettal-popolare.
In stile italiano, resta comunque la casa il nocciolo del problema: la moglie lombarda di «Bisius» (Angela Finocchiaro) ha la fissa della seconda casa, mentre la moglie di Siani (Valentina Lodovini) brama il mutuo.

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