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Una vita da mediano finita su un ring

Woodhouse, ex centrocampista dello Sheffield, è passato alla boxe. Ma è finito ai lavori sociali

Winny Jones è diventato un attore di successo. Questo, che si chiama Curtis Woodhouse, per ora è finito ai lavori sociali, ma fin da bambino si vedeva con i guantoni ai pugni, quando i suoi idoli erano Nigel Benn e Mike Tyson, altro che Shearer o Gascoigne. Tutti e due partiti con il football (in Inghilterra un termine ancora religiosamente identificativo) hanno in comune la squadra degli inizi: lo Sheffield United. Tutti e due ottimi randellatori. Uno soltanto sui campi di pallone. L’altro alternandosi tra calcio, boxe e risse da strada con i poliziotti. Una storia da Cenerentolo che vede il ring come un cocchio da sogno. Voglie che dicono il tipo matto o bizzarro. Curtis era uno che guadagnava circa 15mila euro alla settimana, centoventimila al mese, un buon prendere. A Sheffield ha esordito all’età di 17 anni, esattamente dieci anni fa. Nel febbraio 2001 è passato al Birmingham City, pagato un milione di sterline, circa un milione e mezzo di euro: quanto un nostro giocatore di serie B o una speranza under 21. Curtis, appunto, era una speranza under ed è stato il più giovane capitano dello Sheffield. Giocava a centrocampo, centrale o laterale. Ma per la testa aveva altre cose. Un giorno ha raccontato: «Se Dio mi avesse fermato per strada e avesse garantito di farmi realizzare un sogno, gli avrei risposto: ho sempre desiderato di fare la boxe. Ogni mattina mi alzo dal letto con la voglia di combattere».
Certo, fosse diventato un Beckham o un Gerrard, forse Woodhouse avrebbe lasciato da parte il sogno e badato al conto in banca, ma la carriera deve aver preso una china da combattente del centrocampo più che del centro ring. Forse Curtis era un Gattuso delle terre di mezzo (è nato a Driffield nello Yorkshire), magari con minor qualità ed allora eccolo cambiare squadra dopo squadra, scendere di Lega e nel gennaio 2006 finire al Grimsby con un contratto di due anni. Vitaccia! Dopo sei mesi Woodhouse ha chiuso con il calcio e con il Grimsby, ultima partita nel Millennium stadium di Cardiff. Meglio seguire il grande sogno ed eccolo finalmente in palestra, a 26 anni subito boxeur professionista: vita da pugile, fra sacco e corde, ring e odori acri, senza dover raccontare quelle pietose bugie a chi lo scopriva nel Gym tra un allenamento calcistico e l’altro.
Woodhouse ha esordito da pugile in settembre: peso medio juniors, quattro round per sistemare Dean Marcantonio, messo due volte a terra. Idee per la carriera? Non oltre il titolo britannico. Ma i pugni, fuor del ring, avevano già fatto danni. Curtis, in aprile, ancora calciatore, ha preso appunti per la carriera usando quattro poliziotti, tutti regolarmente finiti a terra, come punching ball. Una bella sbornia e il gancio destro hanno fatto disastri. «Era eccezionalmente aggressivo», hanno raccontato i poliziotti.
E Curtis ha smesso di tirare di boxe anche sul ring: messo nell’angolo dalle leggi del pugilato professionistico inglese che, automaticamente, toglie la licenza finché la pena non viene espiata. Woodhouse è stato condannato a 120 ore di lavori sociali, in attesa di una sentenza definitiva.

Per consolarsi, da qualche mese è tornato al football: a tirar calci nelle file del Rushden & Diamonds, squadra di dilettanti. Ha segnato subito un gol. Ma quando qualcuno gli ha chiesto: «Cosa sei? Calciatore o boxeur?». Lui non ha avuto dubbi: «La boxe è il mio futuro: è nel mio sangue». Basta non sbagliare l’avversario da stendere.

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