Controcultura

La vita vera richiede un debito d'ossigeno

Cosa resta quando si superano gli ottomila metri? Resta davvero poco secondo Walter Welzenbach.

La vita vera richiede un debito d'ossigeno

Cosa resta quando si superano gli ottomila metri, cosa resta quando la vita diventa un perenne debito di ossigeno, una sopravvivenza risicata e a tempo dove ogni secondo accelera il deperimento del corpo.

Resta davvero poco secondo Walter Welzenbach: «Più dolore, più astuzia... auguri a me, il fanatico che ha di nuovo raggiunto il nulla». E ancora: «Soltanto in Nepal ci sono millequattrocento vette oltre i seimila metri, che senso ha dargli un nome? La realtà è che le vette sono inutili... Qui si distrugge una cellula per volta». Eppure gli uomini scalano, alcuni come Walter non riescono proprio a smettere di farlo. Come spiegarlo? Lemmy, il migliore amico di Walter, lo spiegava così: «Perché me lo fa venire duro». E, comprensibilmente, non ne hanno più parlato.

Eppure avrebbero dovuto parlarne, perché mentre Walter sale l'ennesimo ottomila, mentre la mente vaga, drogata dal freddo e dall'aria rarefatta, tutto viene a galla. L'esistenza si presenta metro di corda dopo metro di corda. A quelle quote non ha molto senso distinguere realtà da allucinazione, follia da saggezza. Walter cammina per l'ennesima volta sospeso in un limbo senza tempo, anzi in un limbo dove «il tempo è condensato e va controbilanciato».

Così a fargli compagnia arrivano i grandi alpinisti del passato che non c'è speranza di imitare, perché tutto è già stato scalato. Arriva il presente con le cordate organizzate dai tour operator, si parte come per un villaggio vacanze, ma si sa che comunque lassù muore sempre qualcuno. Ci sono i selvaggi dilettanti come Monk che salgono filmando tutto per far contento lo sponsor, ci sono le vecchie glorie che hanno perso qualche dito delle mani e dei piedi e possono quindi aggirarsi per il campo base con l'aria del professionista.

Ma soprattutto arriva il momento di fare i conti con se stessi. Si vuole morire lì in cima, è così facile, o si vuole smettere? «Bonatti smise di arrampicare senza preavviso, dopo quindici anni, di colpo come aveva cominciato... Capì che ciò che conta non è il tempo trascorso sulle montagne, ma il tempo che segue... Aveva vissuto abbastanza in quei quindici anni da avere abbastanza su cui riflettere per il resto della vita».

Walter mentre si inietta anticoagulanti nella pancia per resistere alla bassa pressione che ti uccide con il mal di montagna però fatica a scegliere, non riesce a scacciare il rimpianto: «Avevamo pensato una vita per noi che era già spettata ad altri. Volevamo far parte di una galassia che a malapena esisteva e che sarebbe presto scomparsa, o forse già lo era». Solo alla fine, che è un inizio, in una vetta inviolata solo per un attimo troverà il bandolo di questa corda sempre sfilacciata che tutti chiamiamo vita.

Questo e molto altro è quello che il lettore troverà in Debito d'ossigeno di Toine Heijmans appena arrivato in libreria per la Sem. Lo scrittore è stato il primo olandese a ricevere il Prix Médicis étranger, uno dei premi più prestigiosi della letteratura francese, in questo romanzo usa la montagna per ridurre all'essenza, per renderla scabra come il granito, la natura umana ed indagare il senso del limite. I moventi che spingono l'essere umano. Ne nasce una narrazione che non ha capitoli ma quote. Un viaggio circolare, nelle vette interiori dell'esistenza, che sarebbe riduttivo etichettare come una narrazione di genere, una narrazione alpina.

Le montagne per Heijmans non sono né sfondo né scusa, semmai specchio.

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