Nessuno te lo dice in faccia, ma in Italia c’è nostalgia di soldi a pioggia. Tremonti, che in queste cose è un birbante, ogni tanto butta lì la provocazione: bei tempi quelli in cui c’erano l’Iri e la cassa del Mezzogiorno. Tempi di pentapartito, Dc e compromesso storico. Tempi in cui le elezioni si vincevano regalando posti fissi, buoni benzina e raccomandazioni. I conti pubblici venivano più facili. Oggi spendiamo, domani chissà. Non c’era l’Europa a chiedere le percentuali. Adesso gli stati nazionali non possono sperperare, le banche centrali hanno abdicato al potere della moneta e l’unica di manica larga è proprio la Ue, ma in Italia non siamo bravi a approfittarne. La cosa strana è che molti partiti mostrano una vocazione neo assistenzialista.
Fateci caso. Il popolo delle partite Iva, quello che non vuole assistenza, ma un fisco più umano, non trova risposte. Nessuno si straccia le vesti per loro. Il retropensiero è sempre lo stesso: in fondo sono tutti evasori. Eppure questa gente, artigiani, piccoli imprenditori, commercianti, è quella che ha punito Pdl e Lega non andando a votare. Sono quelli che al Sud non trovano una voce disposta ad ascoltarli. Non vanno in piazza. Non li chiamano in tv. Non fanno colore. Imprecano a casa loro. Non si fidano più delle promesse.
Sono quelli che chiedono le riforme del welfare, delle pensioni, del mercato del lavoro. Ma a buona parte dei politici viene più facile corteggiare gli altri, quelli che vivono di spesa pubblica e i professionisti di appalti, bandi e sovvenzioni, un vero comitato d’affari trasversale e buono per tutte le stagioni. Questi si adeguano in fretta al vincitore. È il popolo della spesa pubblica,i nostalgici dell’assistenzialismo, l’Italia reazionaria che non è mai uscita dal Novecento. Sono i garantiti e i supergarantiti, quelli che vedono Marchionne come il prossimo nemico pubblico, padri e madri che scuotono le spalle davanti ai precari, ma fanno il giro delle sette chiese per trovare un posto al figlio disoccupato (disoccupato perché non si sporca le mani con un posto che non sia fisso e possibilmente statale). Sono tanti, ma non sono la maggioranza. Eppure tutti li ascoltano. Perché più organizzati. Nessuno di loro protesta con l’astensione.Sono professionisti del voto d’interesse o di scambio. A differenza degli altri non sono né invisibili né silenziosi. E in qualche modo, spostandosi a destra e sinistra, fanno la differenza.
La discriminante politica sarà sempre di più proprio questa. Quale politica fare? Quella del popolo delle partite Iva o quella delle lobby della spesa pubblica? Il guaio è che la risposta che arriva dai partiti premia la seconda opzione. Il partito assistenzialista conta vendoliani-pisapiani, l’Idv con De Magistris in testa, l’Udc e i rutelliani,la parte più democristiana del Pd e i convertiti bersaniani, i Responsabili, e i balenotteri del Pdl, pezzi sparsi di ex An. Il partito assistenzialista piace ai giudici e ai sindacati. Piace agli intellettuali. Non dispiace in fondo alla Confindustria, perché non si sa mai.
Chi è rimasto con il popolo delle partite Iva? C’è l’elettorato leghista ma non i suoi vertici (che sono sempre più statalisti) e i berlusconiani che si riconoscono nello spirito del ’94, quel che resta dei radicali e poco altro. Tremonti sta in mezzo. Non è un’assistenzialista, ma resta un colbertiano. Queste repubbliche fondate sul lavoro perdono il pelo ma non il vizio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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