Capelli mechati e pantaloncini di denim, nel 1988 Andre Agassi ha diciottanni. Ai quarti di finale degli Us Open sbatte contro Jimmy Connors che di anni ne ha il doppio e i capelli li tiene corti. Il pubblico di New York è tutto per il vecchio campione: «Dai, Jimmy, quello è un punk - tu sei una leggenda!». Invece vince Agassi. E la coda di polemiche è ben più lunga della criniera di Andre.
Assai più lunga e tortuosa è invece la parabola di emancipazione di Agassi, il ragazzo che non voleva essere numero uno, il talento che odiava il tennis, il ribelle cattivo marchiato per sempre. È una catarsi sportiva e umana dai toni drammatici, anche se costellata di vittorie e trionfi. Una guerra contro i fantasmi dellinfanzia, finalmente presi a pallate. Ma nella quale, forse, a contare di più sono le sconfitte, certe umiliazioni, la rivalità con Pete Sampras, più vincente e pacificato del nostro tennista punk di Las Vegas. Diciotto anni più tardi, quando Agassi annuncia il ritiro, uno dei più autorevoli commentatori e storici di tennis sintetizza la sua carriera dicendo che si è trasformato da punk a modello di paragone. Ma lui non ci sta: «Non sono mai stato un punk più di quanto sia un modello adesso». Soprattutto, dice, «non mi sono trasformato, mi sono formato». Si potrebbe dire che le 500 pagine di Open - La mia storia, appena uscito da Stile Libero di Einaudi (euro 20) sono la parabola palpitante per eliminare quel prefisso che distingue trasformazione da formazione. Non a caso il ghostwrither è quel J.R. Moehringer (che non ha voluto comparire in copertina), premio Pulitzer e autore del bellissimo e autobiografico Il bar delle grandi speranze, per il New York Times miglior libro del 2006, letto da Agassi proprio durante il suo torneo daddio. E ancora non a caso la storia di Agassi si legge ogni pagina di più come lautobiografia di una rockstar, in cui lo sport, lagonismo esasperato, la competizione epica («il tennis è una boxe senza contatto») sono palestra di vita, apprendistato dellio, itinerario di conoscenza.
«Ho sette anni e sto parlando da solo perché ho paura e perché sono lunico che mi sta a sentire. Sussurro sottovoce: lascia perdere, Andre, arrenditi. Posa la racchetta e esci immediatamente da questo campo». Lì dentro il padre-tiranno urla ordini, mentre una specie di drago sputa palle come fossero proiettili. «Papà dice che se colpisco 2500 palle al giorno ne colpirò 17500 la settimana e quasi un milione lanno. Crede nella matematica». Impossibile non diventare numero uno.
Il mantra intoccabile è la perfezione e chi non la persegue con assoluta abnegazione sarà un perdente, come il fratello maggiore Philly. Il passo successivo è lingresso nellaccademia di Nick Bollettieri, altro scientifico aguzzino e forgiatore di campioni in serie. «Ho trascorso linfanzia in una cella disolamento, ladolescenza in una camera di tortura». La ribellione è inevitabile. Andre comincia a vincere, sbaragliando avversari più grandi di lui. Ma scende in campo in salopette, con gli occhi bistrati, i capelli alla moicana, vestito di rosa... È il suo modo di dimostrare a tutti che odia il tennis. Anche se lo confida solo agli amici più intimi, le sue donne, gli allenatori. Che ribattono increduli, «non dirai sul serio...». Finché, in una palestra universitaria il ribelle Andre incontra Gil Reyes, preparatore atletico guru vice-padre. Comincia una nuova vita, che sostituisce la paranoia calvinista con un grande sogno: «Da qualche parte, lassù, - gli dice Gil una notte - cè una stella con sopra il tuo nome. Forse non sarò capace di aiutarti a trovarla, ma le mie spalle sono forti e puoi salirci sopra mentre la cerchi. Hai capito? Per tutto il tempo che vuoi. Sali sulle mie spalle e allunga la mano, ragazzo. Allungala».
I sogni però non dileguano i fantasmi con la bacchetta magica. La religione della perfezione ha lasciato il segno e in ogni match il giovane Agassi combatte con il mondo intero. Le sconfitte lasciano cicatrici che le vittorie non riescono a rimarginare. Anche quando diventa finalmente numero uno. Dopo ogni batosta Andre si isola con una pila di film horror. Lo stress accelera la perdita dei capelli, camuffata per anni dal parrucchino che solo Brooke Shields lo convincerà a eliminare. Il picco più basso della deriva viene con lo sballo da cocaina, il doping e una squalifica evitata per un soffio. È il nuovo allenatore Brad Gilbert a fargli fare un altro salto di qualità: non devi essere il numero uno in ogni colpo, non devi sconfiggere tutti gli avversari insieme; devi battere solo quello che hai davanti, dare il tuo meglio per un paio dore, stop.
Insieme al tennis sono alcuni incontri a fare di Agassi un uomo. Nelson Mandela: «Io sono il padrone del mio destino: io sono il capitano della mia anima». Steffi Graf, anche lei prodotto e vittima di un padre-tiranno come Andre. Poi lidea di dar vita a unaccademia per bambini a rischio, nuovo motivo per continuare a giocare, anche contro letà che avanza.
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