Roma - Incontro Catherine Spaak nel suo buen retiro a mezza via tra la campagna umbra e i dolci declivi del Lazio: un eremo che l'eterna adolescente che scandalizzò i benpensanti ai tempi della Noia ha battezzato col poetico nome La casa infinita. Un luogo privilegiato dove Catherine mette a punto oltre ai suoi progetti di attrice, commediografa e romanziera anche, udite udite, la vocazione, di guru. E pensare che mi ero arrampicato fin qui, dico a questa bella signora rimasta miracolosamente intatta dalle ingiurie del tempo, per sapere qualcosa sul suo prossimo spettacolo...
Possiamo parlarne o è meglio cambiare argomento?
«Parliamone pure, che diamine, da sempre nella mia vita un impegno non esclude l'altro. Anzi, si compensano a vicenda dato che senza il benessere spirituale non è possibile, dal palcoscenico, suscitare emozioni. Non trova?».
Anche se invece di richiamarsi ai maestri indiani, si parla di Vivien Leigh, la mitica Rossella di Via col vento?
«Mi lasci parlare. Dieci anni fa, all'improvviso, scoprii che il mondo dello spettacolo non mi bastava più. Tanto che, per sfuggire alla sua morsa implacabile, mi rifugiai in campagna».
Vuol dire qui, in questi tre casali circondati da un magnifico parco e una splendida piscina, tra il verde dei campi e l'azzurro del cielo?
«Lo so, sembra la classica abitazione di una star. Ma io l'ho cambiata da cima a fondo».
In che modo, scusi?
«Trasformandola in un luogo dove ritrovare me stessa».
Dimenticando la Spaak?
«Tutt'altro. Ho solo capito che per vivere dovevo pensare e, per pensare, avevo bisogno di leggere. Di colpo cercai dei copioni che non raccontassero favole ma storie vere di individui veri, con problemi veri. Da alternare con testi, programmi e progetti in grado di garantirmi la pace dello spirito».
Può spiegarsi meglio?
«Dopo aver frequentato altri libri, ho cercato altri amici. E ho avuto fortuna. Tanto che oggi ho deciso di aprire proprio qui un Centro di meditazione yoga. Sulle orme dei miei maestri, la straordinaria famiglia Wengel. È merito loro se al posto delle banalità che mi offrivano, ho girato l'Italia narrando la storia di Edith Piaf e adesso, dal 18 ottobre, all'Auditorium di Roma, narro il calvario di Vivien Leigh».
Di che spettacolo si tratta?
«S'intitola Vivien Leigh, l'ultima conferenza stampa, un monologo allucinante opera di una grande scrittrice, Marcy Lafferty. Che segue passo per passo la tremenda vicenda umana di quella grande artista».
Tremenda, e perché?
«Tutti sanno che Vivien, che per vent'anni fu la gioia e il tormento di suo marito Laurence Olivier, era tisica. E come tutti coloro che, a quel tempo, convivevano con quella terribile sindrome, il sesso appariva come l'unica ancora di salvezza».
Un tentativo disperato di scongiurare la morte?
«Già. Come Margherita Gauthier, la Signora dalle camelie cantata da Dumas figlio. Io, nello spettacolo, cerco di sensibilizzare tra il pubblico chi è schiavo di questa demoniaca dipendenza».
Non pensa più ad Harem? In fondo, anche quello era un modo di impostare se non di risolvere certi problemi...
«Forse ci sarà una ripresa di quella fortunata trasmissione. Ma non da parte della Rai.
Troppo come?
«Troppo raffinata, troppo intelligente, troppo educata o forse, semplicemente troppo poco volgare».
Non se la prenda, Catherine, e auguri.
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