La voce stonata di un governo anti israeliano

Livio Caputo

Ci mancava solo il delirio di onnipotenza. Non contento di avere imbarcato l’Italia in una spedizione libanese rischiosa, costosa e priva del mandato necessario per attuare le risoluzioni 1559 e 1701 dell’Onu, il duo Prodi-D’Alema si è messo in testa di risolvere anche la questione palestinese, di fare «digerire» a Israele la presenza ai suoi confini di truppe di Paesi che non ne riconoscono l’esistenza e addirittura di inviare un corpo di spedizione dell’Onu a Gaza. Fiero, come dice lui, «di avere rilanciato il ruolo internazionale dell’Italia», il presidente del Consiglio ha preso a telefonare a destra e a sinistra come una specie di autoproclamato demiurgo mediterraneo e si è messo a fare da spalla a Kofi Annan che non ne ha mai combinata una giusta e che è prossimo alla scadenza del mandato. Dal canto suo il titolare della Farnesina, dopo avere irritato Israele e gli amici italiani dello Stato ebraico con gli ammiccamenti a Hezbollah, si è messo a inseguire l’impossibile progetto di schierare una forza internazionale a Gaza.
È superfluo osservare la velleità di questi progetti, frutto solo della vanità dei protagonisti o di calcoli politici interni a una coalizione di centrosinistra in cui molti vedono l’intervento militare italiano in Libano in funzione antisraeliana. Il momento per rilanciare un qualsiasi negoziato è sbagliato: Israele è uscito traumatizzato dal conflitto, si sta rendendo conto che la forza internazionale che per la prima volta ha accettato alla sua frontiera non disarmerà Hezbollah né chiuderà le frontiere con la Siria e, per reazione, ha rimandato alle calende greche anche il piano di ritiro unilaterale dalla Cisgiordania, pilastro della campagna elettorale di Olmert. Finché Hamas non riconoscerà il diritto di Israele all’esistenza e rinuncerà alla violenza, premere su Gerusalemme perché rimetta in moto la Road Map sarebbe quasi un atto di ostilità. Pretendere poi che accetti nell’Unifil truppe di Paesi musulmani che da sempre si rifiutano di avere con lui rapporti diplomatici sembra eccessivo perfino per un antiisraeliano storico come Kofi Annan.
Altrettanto irrealistico, ma diplomaticamente più insidioso è il progetto dalemiano di inviare un corpo di spedizione Onu anche a Gaza. Negli intenti di D’Alema, i Caschi blu dovrebbero proteggere la striscia contro le incursioni dell’esercito israeliano, e in cambio impedire che questa venga usata per lanciare missili contro il Sud dello Stato ebraico. Sembra una cosa ragionevole. Ma, per avere un senso, la missione dovrebbe fare ben altro: procedere al disarmo dei gruppi terroristici che lanciano attentati suicidi contro Israele, dare la caccia alle organizzazioni che rapiscono i giornalisti stranieri e li liberano solo dopo avergli imposto la conversione all’Islam, mettere fine al flusso proibito di armi verso coloro che vogliono combattere Israele fino alla sua distruzione. Sarebbe una superoperazione di polizia senza esclusione di colpi, con scontri, attentati suicidi e morti a ripetizione, cui nessuno Stato accetterebbe di partecipare e che il Consiglio di Sicurezza non ordinerà mai.
Allora, qual è il reale intento di D’Alema? Costruire uno scudo dietro il quale i palestinesi possano fare ciò che vogliono, compresa la preparazione di attentati, senza che Israele possa più compiere incursioni preventive; porre le premesse perché il Palazzo di Vetro possa mettere quando vuole lo Stato ebraico sul banco degli imputati; legittimare a tutti gli effetti il governo di Hamas.

Il ministro degli Esteri non ci riuscirà, ma il solo fatto che ne abbia parlato autorizza a pensar male.

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