Mentre in Italia arrivano i dati sulla disoccupazione in Francia Sarkozy (e anche qualche importante esponente dei socialisti) mandano definitivamente in soffitta le 35 ore. Chi non ricorda le battaglie dei socialisti francesi e dell’allora ministro del Lavoro Martine Aubry? Chi non ricorda l’immediato tentativo di scimmiottamento italiano caldeggiato dalla (fu) Rifondazione comunista? Ebbene, magia della sorte, tutto avviene nello stesso giorno: i giornali francesi decretano la fine delle 35 ore, in Italia vengono resi pubblici i dati sulla disoccupazione, mentre nelle settimane scorse Marchionne ha proposto e ottenuto un patto che prevede 120 ore di straordinario all'anno. Quasi a dire: la strada, comunque, non è quella. C'è ancora molto da fare, ma la strada non è quella.
I risultati assolutamente deludenti sono ormai noti a tutti. La legge del 2000 prometteva più occupazione a costi limitati per lo Stato. È andata al contrario: posti di lavoro pochi (e si discute molto sui calcoli): 350mila (forse) contro i 700mila promessi. Un costo molto alto per lo Stato a causa delle agevolazioni fiscali alle imprese per le ore di straordinario: 15 miliardi di euro che, di questi tempi, suonano come qualcosa di introvabile, almeno nei bilanci pubblici.
Naturalmente in molti dopo l’annuncio dei dati sulla disoccupazione, 28,9% tra i giovani, diranno che il governo ha fatto poco e che lo Stato dovrebbe intervenire di più. Magari non riproporranno le 35 ore, ma comunque qualcosa ideologicamente è della stessa famiglia. Chissà se qualcuno si ricorderà di dire che questa disoccupazione c’entra qualcosa anche con la peggiore crisi economica dal dopoguerra ad oggi.
A Parigi ci sono due strade parallele: una si chiama Via dell’arrivo e l’altra Via della partenza, in Italia potremmo chiamarle Via Sergio Marchionne e Via Marco Biagi perché il cammino intrapreso dal responsabile della Fiat, pur difficile e ancora disseminato di trappole e massi veri e propri certamente è stato possibile anche grazie ad un clima che ha collaborato a creare la legislazione seguita all’opera di Marco Biagi. Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi è in questo solco e c’è in modo convinto e creativo.
La cosa da dire in realtà è una sola: ci vuole la pazienza delle grandi riforme. Occorre andare avanti in questa direzione.
Più possibilità di assumere all’occorrenza delle imprese. Qualche forma di protezione sociale per i precari. Formazione professionale secondo le esigenze del mercato che cambia quindi veloce e molto concreta. Luoghi più semplici di incontro tra domanda e offerta. Contrattazione più vicina alle esigenze delle imprese e più locale.
Alcuni decenni fa gli economisti sostenevano che ci sarebbero potuti essere degli effetti positivi dalla diffusione delle tecnologie nell’industria e in particolare: prezzi più bassi, salari più alti, orari di lavoro ridotti. Sul terzo effetto non l’azzeccarono. Dove le cose vanno la richiesta delle imprese è quella di lavorare di più. Dove hanno scelto le 35 ore sono costretti a tornare indietro per evitare disastri.
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