«Vogliamo tornare a Kabul. Non diamogliela vinta»

Le lettere e i pacchi sono una cosa privata per definizione: li aprono i destinatari, e solo loro. Per noi abitanti del vituperato Occidente è normale, ed è normalissimo che esista un reato di violazione della corrispondenza. A parole è così in tutto il mondo, ma si sa che la privacy è un concetto che disturba i regimi che hanno un debole per l’onnipotenza della polizia. E ci sono Paesi dove questa «debolezza» sembra essere iscritta nell’anima nazionale. La Russia, per esempio. Da dove arriva una notizia che equivale a un brutto salto indietro nella Storia: tutta la corrispondenza epistolare, pacchi compresi, potrà essere controllata senza l’autorizzazione giudiziaria da otto diverse «strutture di forza», dalle dogane all’antidroga, dalle guardie giudiziarie agli immancabili servizi segreti, i veri padroni del Paese.
La denuncia di quello che rischia di essere un ritorno alle prassi dei tempi bui dello zarismo e del comunismo viene da Radio Eco di Mosca. Dalle sue frequenze è uscito l’annuncio di un decreto firmato dal ministro delle Telecomunicazioni, Igor Shchiogolev, che dà facoltà a «otto strutture di forza» di violare senza autorizzazione giudiziaria la segretezza della corrispondenza a partire da martedì 21 luglio.
«È un passo verso lo Stato totalitario», protesta l’attivista per i diritti umani Yuri Vdoghin, che chiederà alla Corte Suprema russa di cancellare il decreto. «Un provvedimento nettamente anticostituzionale», rincara l’avvocato Yuri Schmidt (uno dei difensori dell’ex proprietario del colosso petrolifero Yukos, Mikhail Khodorkovskij, da anni in carcere in Siberia).
Vdoghin e Schmidt si affannano a ricordare che la Costituzione russa «garantisce ai cittadini la segretezza di ogni tipo di comunicazione e ammette interferenze solo sulla base di una decisione della Corte». Ma anche la Costituzione sovietica rispettava formalmente la privacy epistolare: ed è ben documentato dagli storici che tutta la corrispondenza internazionale era sicuramente controllata dagli organi dello Stato totalitario. Quanto all’epoca imperiale, solo negli ultimi anni del potere degli Zar fu introdotta una norma che prevedeva l’autorizzazione di un giudice: prima il sinistro Gabinetto Nero provvedeva a ficcare il naso e le mani dello Stato nelle lettere e nei pacchi che i russi inviavano e ricevevano.
È evidente che solo una minima parte della corrispondenza gestita dalle poste russe (solo le lettere sono un miliardo e mezzo ogni anno) potrà essere controllata.

Ma la spiacevolissima sensazione di non poter contare sul rispetto della propria privacy varrà per tutti. Rimane da capire per quale maledizione la Russia, uscita da secoli di totalitarismi, sembri condannata a ricaderci passo dopo passo.

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