Cultura e Spettacoli

A "The Voice of Italy" si piange in tutti i generi

A "The Voice of Italy" si piange in tutti i generi

Nelle accademie artistiche ancora si insegna la bella pittura, che secondo tradizione dovrebbe avere regole precise. Nonostante da oltre un secolo esista l'arte concettuale, ancora in molti sono convinti che la qualità dell'arte si definisca, per esempio, dalla «buona mano» e non dall'originalità del pensiero. Discorso analogo si può riferire al mondo della musica, anche se non è chiaro cosa significhi «bella voce», quando la performance e la presenza scenica sono elementi altrettanto fondamentali delle presunte doti canore.

Tra gli innumerevoli talent musicali, The Voice of Italy vorrebbe essere più legato alla sostanza e meno all'apparenza, scelta che stride, nel mondo dello spettacolo contemporaneo. Ipotetico alter ego di X Factor, la versione italiana del noto programma olandese non ha rivelato particolari talenti e curiosità, a eccezione del caso Suor Cristina nel 2014. Dopo un anno di pausa, il 2017, il programma riparte con la quinta stagione su Raidue per otto puntate con un nuovo conduttore, Costantino della Gherardesca - decisamente un tipo umano diverso dal suo omologo Alessandro Cattelan - e solo un coach confermato su quattro, quel J-Ax che rappresenta la linea di demarcazione tra il pop commerciale e il mondo rap che però il pubblico più giovane considera già sorpassato. Ad affiancarlo, Francesco Renga, romantico ed empatico, Cristina Scabbia, leader dei metallari Lacuna Coil, ovvero un pizzico di underground, e Al Bano, il depositario della canzone melodica, consumato professionista che ben si presta a scherzi e battute, anche se le gag ricordano troppo ciò che fece il caustico Gianni Ippoliti con la buonanima di Mino Reitano.

Siamo pur sempre in Rai, dunque non si deve insistere nella cattiveria. I coach, almeno nelle prime Blind Auditions, gareggiano con correttezza; così le due ore scivolano piuttosto piatte, senza particolari picchi. Quanto ai concorrenti, le tipologie musicali sono rappresentate più o meno tutte: l'ennesimo rapper, la cantautrice gattamorta, l'intonazione soul per un'italiana di seconda generazione, il melodico tormentato, tutti con le loro piccole storie di ambizione, sempre sostenuti e incoraggiati dalle famiglie, convinti di arraffare il loro quarto d'ora di celebrità. Tante, troppe, lacrime versate: ci si commuove per qualsiasi cosa e non si capisce bene perché e neppure i coach brillano per originalità nei consigli e nelle indicazioni.

Se X Factor rappresenta, in qualche modo, uno spaccato ancora abbastanza realistico dell'Italia canora di oggi, The Voice of Italy sembra non farcela. Ci chiediamo quindi se questo tipo di talent non stia mostrando evidenti limiti. Probabilmente siamo nell'imminenza di un nuovo passaggio epocale: c'è davvero bisogno di rimettere mano alle gare musicali con altre formule perché, a ben pensarci, il tutto continua a rimandare all'effetto Corrida.

Ovvero, dilettanti allo sbaraglio.

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