Roma È uscito malconcio dalle elezioni amministrative; ha messo a segno una settimana dopo il colpo dei referendum e subito dopo ha iniziato la sua ultima, imprevedibile svolta.
Di Pietro 2, il moderato. L’ex urlatore che ora dialoga, che si lascia fotografare intento a colloquiare amabilmente con Berlusconi (già «Videla») e che scrolla le spalle quando i suoi fan, spiazzati, lo assaltano via web perché ha parlato con «quello». «E che dovevo fare, menargli?». Per un leader politico meno spregiudicato e flessibile di lui, sarebbe stato difficile reggere il contraccolpo di un così repentino cambio di toni: ieri dal centrodestra (ma anche dai moderati del centrosinistra) era tutto un profluvio di riconoscimenti alla new wave dipietrista.
Da Formigoni («Quella che Di Pietro sta portando avanti è operazione politica interessante») a Urso («Di Pietro ha fatto quel che avrebbe dovuto fare il Terzo Polo per dimostrare di anteporre gli interessi generali al tatticismo politico»); da Fioroni («Tonino annusa l’aria e dà una risposta di prospettiva») a Follini («Forse è passato da un eccesso all’altro, ma preferisco l’eccesso di prudenza di oggi agli eccessi di prima»).
L’ex pm ieri si è prodotto in una raffica di interviste nelle quali confida humana pietas per Berlusconi, «un uomo solo», e annuncia che se il governo portasse in Parlamento riforme serie «noi non ci tireremo indietro»; e intanto azzanna il Pd alla gola, un «pachiderma inerte che dice no a tutto», e sfida Bersani: «Mi candido alle primarie». Poi si è ritirato come Cincinnato nei campi della sua Montenero di Bisaccia e dall’alto del trattore rispondeva ai giornalisti: «Non posso parlare, devo arare la terra». Per oggi ha già convocato una conferenza stampa.
E così, dai margini della politica in cui poteva finire relegato, Di Pietro è tornato al centro della scena. Dopo le amministrative aveva capito che il suo partito rischiava di fare la fine del capro espiatorio di una possibile alleanza tra Bersani (con Vendola) e Casini. Se il Terzo polo doveva mettere una condizione all’intesa, sarebbe stata la sua testa, quella dell’estremista forcaiolo che non sa stare in società e neanche in Parlamento. E Bersani l’avrebbe graziosamente concessa. Di Pietro è uscito abilmente dall’angolo, e ora è lui a sfidare un Pd di nuovo in affanno tattico, ora che le agognate elezioni anticipate sembrano sfumare all’orizzonte. Minacciando di candidarsi alle primarie il leader Idv fa sapere che lui resta con i piedi ben piantati dentro la coalizione, anche se intanto guarda a nuove praterie elettorali.
Ai suoi, Di Pietro ha spiegato che - essendo la sinistra ben presidiata, come dimostrano i flussi di voti usciti da Idv e migrati verso Sel e Rifondazione - occorre tornare a guardare a destra. Perché «il governo durerà altri due anni, ma la stagione di Berlusconi è già finita: non sarà lui il candidato premier, nel 2013». Dunque ampi segmenti di elettorato sono destinati a tornare in circolo, e lui vuol farsi trovare sulla loro strada. Come è successo nei referendum, dove un terzo degli elettori di centrodestra hanno votato con lui: un segnale di cui Tonino ha preso buona nota. E quella vittoria è sua: ai tentativi del Pd di intestarsela, Di Pietro risponde rinfacciandogli con durezza di essere saltati sul carro all’ultimo momento, e di aver già ricambiato idea sull’acqua: «Ora la vogliono mezza pubblica ma anche mezza privata, hanno già presentato una leggina per aggirare il referendum».
In privato, più di un esponente Idv confida di sospettare che quella tesa in aula da Berlusconi a Di Pietro sia stata una trappola, seguita oltretutto dagli elogi (pericolosissimi in campo
antiberlusconiano) del Tg di Minzolini all’ex pm. Quel che è certo però è che ha saputo girarla a suo uso e consumo per tornare protagonista: ieri, alla direzione del Pd, le domande dei giornalisti a Bersani erano tutte su Di Pietro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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