Whistler MountainL'allarme Vonn è rientrato e qualcuno, ora, dice che non è mai nemmeno esistito. Sia come sia, all'americana più attesa di questi Giochi, la Phelps in gonnella per la sua possibilità di vincere medaglie in tutte e cinque le gare cui parteciperà, il caldo e l'umidità di questi giorni hanno reso un bel servizio, perché il rinvio di prove e gare le ha dato la possibilità di recuperare meglio dalla botta alla tibia presa in allenamento lo scorso 3 febbraio.
Ma al di là dell'attualità, di cui ci occuperemo nei prossimi giorni quando finalmente le piste di Whistler smetteranno di assomigliare a una granita e torneranno ad essere praticabili, può essere interessante conoscere un po' meglio il passato di quest'atleta, una storia che aiuterà a capire molto meglio il personaggio e la donna Vonn.
Ci pare di vederla la piccola Lindsey, che allora si chiamava Kildow, mettere gli sci per la prima volta all'età di tre anni seguita come un'ombra dal padre Alan, ex sciatore arrivato al titolo nazionale juniores. A quei tempi abitava ancora nel Minnesota e sciava nel piccolo comprensorio di Buck Hill, pendenze ridotte e nessuna possibilità di sviluppo. A seguirla, oltre al padre, c'era Erich Sailer, uno dei tanti austriaci che hanno fatto fortuna esportando negli Stati Uniti il loro sapere tecnico. Quanto alla madre Krohn, avvocato e a sua volta ex atleta, non aveva possibilità di seguirla in quanto semiparalizzata alla gamba sinistra, conseguenza di un ictus che l'aveva colpita dando alla luce Lindsey, la prima dei suoi cinque figli.
Di quegli anni, Lindsey ricorda la difficoltà di fare amicizia con gli altri bambini, «perché sugli sci ero talmente brava che mi mettevano sempre nel gruppo con quelli più vecchi e per loro non era il massimo essere battuti da una bimba più piccola». A 11 anni Lindsey e la mamma si trasferiscono a Vail, in Colorado, luogo sicuramente più idoneo a far crescere un'aspirante campionessa, ma anche in questo caso i ricordi di Lindsey non sono positivi: «All'inizio mi sentivo in colpa per aver portato via la mamma ai miei fratelli, rimasti in Minnesota col papà per un anno, e poi, quando ci siamo tutti riuniti a Vail, per averli strappati alla loro vita, alla scuola, agli amici… tutto perché io dovevo sciare. Quando poi ho saputo che tutte le radici erano state definitivamente tagliate, perché papà aveva venduto la casa dove eravamo nati e cresciuti, mi sono resa conto per la prima volta delle responsabilità che mi avevano messo addosso: dovevo per forza impegnarmi a diventare qualcuno».
Ora che Lindsey è una campionessa affermata, ora che è diventata la sciatrice più forte della storia americana, nel suo paese famosa quasi quanto le sorelle Williams, forse può dire che ne valeva la pena, anche se in realtà il prezzo pagato è stato molto alto: nel 2002, anno in cui partecipò diciassettenne all'Olimpiade di Salt Lake City finendo sesta nella gara di combinata, i genitori hanno divorziato e fra le cause della diatriba anche il modo ossessivo in cui papà Alan seguiva la figlia. Il successivo divorzio, nel 2005, è stato quello fra Lindsey e Alan, che non approvava il suo legame col fidanzato Thomas Vonn, di nove anni più vecchio. Alan era malvisto anche dai tecnici della squadra nazionale per il suo voler sempre condizionare la vita della figlia, in pista e fuori.
Un atteggiamento pagato caro: «Non vedo né sento mio padre da quattro anni, lui ha provato a farsi vivo ma io non gli ho mai risposto, per me è un capitolo chiuso».
Ora Lindsey vive in simbiosi con Thomas, diventato suo marito nel 2007, anno in cui lei ha ripudiato il nome Kildow.
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